Otto anni sono passati dalla mia ultima lettura della buona vecchia zia Agatha, ma ci ho messo pochissime pagine per calarmi nuovamente nella prosa semplice e coinvolgente dell'indiscussa regina delle gialliste.
Ho letto
Poirot e la strage degli innocente, un libro che mi regalò Raffina cara la prima volta che venne nel biellese, in occasione del raduno del 2003. Il romanzo è tardo, del 1968, e questo comporta una serie di particolarità che mi hanno colpito: abituato a suoi romanzi degli anni venti, trenta e quaranta, mi ha stupito sentire la vecchina (a quel tempo più che settantenne) parlare di computer e di programmazione, di hippies, di lesbiche, di lsd. Tutta una serie di riferimenti tratti dalla realtà dell'epoca che fanno di lei un'attenta osservatrice della realtà che la circondava, ma che guarda col filtro di un'altra epoca, calando questi oggetti nel contesto che per lei è sempre stato il più rassicurante e noto: la perbenista provincia inglese). Lo stesso Poirot, geniale quanto egocentrico spauracchio d'ogni malvivente, risulta invecchiato, fuori posto: in più punti i personaggi fanno riferimento alla sua elevata età chiedendosi se sia per caso rimbambito (ovviamente la risposta che darà lui sarà: NO), le sue scarpette di vernice e l'antipatia verso la moda vestiaria più recente ne fanno davvero una visione bizzarra persino per la notoria assenza di stile inglese. D'altra parte, Poirot era belga.
Non è un romanzo perfetto: lo scioglimento sembra un po' debole e avevo intuito la chiave della soluzione (o molti suoi punti) già con larghissimo anticipo, cosa che è rarissima con la Christie perché è una nota "bara".
Nel complesso, però, l'affetto per uno dei miei personaggi letterari preferiti (continuo però a preferire Miss Marple) e per una delle scrittrici a cui sono più legato mi ha fatto godere della lettura, la cui scorrevolezza ha fatto scivolare via il libro in poco più di un giorno.
Ho scorso i titoli: in casa ne ho ancora due mai letti di suoi, vedrò di non far passare altri otto anni.