COSI' LA CONSULTA HA BOCCIATO PECORELLA

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INES TABUSSO
00martedì 6 febbraio 2007 21:16
Così la Consulta ha bocciato Pecorella
Ansa, 6 febbraio 2007

La legge 'Pecorella', che ha vietato il potere di appello al pubblico
ministero nel caso in cui l'imputato sia stato prosciolto, viola il principio
della "parità delle armi" nel processo (art.111 della Costituzione) ed "eccede
il limite di tollerabilità costituzionale in quanto non sorretta da una 'ratio'
adeguata in rapporto al carattere radicale, generale e 'unilaterale' della
menomazione" del potere del pm. E' questo il principale motivo per cui i
giudici costituzionali hanno 'bocciato' l'architrave (articoli 1 e 10, comma 2)
della legge varata durante il governo Berlusconi.

La sentenza di illegittimità (n. 26), scritta dal vicepresidente della
Consulta Giovanni Maria Flick, é stata depositata assieme a un'ordinanza (n.
27) che ha dichiarato manifestamente inammissibili altre questioni di
legittimità della 'Pecorella' riguardanti l'appello della parte civile contro
le sentenze di proscioglimento. La Corte ha accolto alcuni dei dubbi di
legittimità sulla legge 'Pecorella' (dal nome del suo proponente, Gaetano
Pecorella, parlamentare di Forza Italia ed avvocato di Silvio Berlusconi)
sollevati dalle Corti di Appello di Roma e Milano. E ha affermato che "nella
cornice dei valori costituzionali, la parità delle parti non corrisponde
necessariamente a una eguale distribuzione di poteri e facoltà fra i
protagonisti del processo". Questo non significa, tuttavia, che la disciplina
delle impugnazioni debba restare così com' era prima della 'Pecorella'. La
Corte, infatti, lascia aperta la porta a modifiche in due passaggi della
sentenza: quando scrive che resta ferma la "possibilità per il legislatore" di
"una generale revisione del ruolo e della struttura dell'istituto
dell'appello"; e quando sostiene che "non contraddice comunque il principio di
parità l'eventuale modulazione dell'appello medesimo per l'imputato e per il
pubblico ministero, purché essa avvenga nel rispetto del canone della
ragionevolezza, con i corollari di adeguatezza e proporzionalità". La legge
'Pecorella', invece, ha "menomato" i "poteri della parte pubblica, nel
confronto con quelli speculari dell' imputato". Nel dichiarare illegittima la
'Pecorella' nella parte in cui esclude che il pm possa proporre appello contro
le sentenze di proscioglimento, e nel punto in cui prevede l'inammissibiltà
dell'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pm prima
dell'entrata in vigore della legge (9 marzo), la Corte ritiene che la
"menomazione" dei poteri del pm sia andata oltre il "limite di tollerabilità
costituzionale". Si tratta, infatti. di una una menomazione "generalizzata" e
"unilaterale". Generalizzata "perché non é riferita a talune categorie di reati
ma è estesa indistintamente a tutti i processi", con il risultato che la
'Pecorella'' "mentre lascia intatto il potere di appello dell' imputato, in
caso di soccombenza, anche quando si tratti di illeciti bagatellari", "fa
invece cadere quello della pubblica accusa anche quando si discuta dei delitti
più severamente puniti e di maggiore allarme sociale". E ancora: la menomazione
dei poteri del pm è "unilaterale" "perché non trova alcuna specifica
'contropartita' in particolari modalità di svolgimento del processo" (come
invece accade ad esempio con il rito abbreviato dove, per sveltire i tempi del
processo, il pm non può impugnare nel merito la sentenza) "essendo sancita in
rapporto al giudizio ordinario, nel quale l'accertamento del contraddittorio
delle parti, secondo le generali carenze prefigurate dal codice di rito".
Dunque, "l'alterazione del trattamento paritario dei contendenti - osserva la
Consulta - indotta dalla norma in esame, non può essere giustificata, in
termini di adeguatezza e proporzionalità, sulla base delle rationes che, alla
stregua dei lavori parlamentari, si collocano alla radice della riforma".
L'aver escluso il potere di appello per il pm contro le sentenze di assoluzione
dell'imputato è poi ritenuta dalla Corte una scelta "intrinsecamente
contraddittoria rispetto al mantenimento del potere di appello del pm contro le
sentenze di condanna". Nella sentenza di 21 pagine, firmata dal presidente
Bile, la Corte ha di fatto ritenuto inaccettabili alcune delle argomentazioni
portate avanti da Pecorella e dallo stesso Berlusconi (peraltro mai citati
nella sentenza) circa la natura "persecutoria", e contraria ai "principi di uno
stato democratico" del potere del pm di impugnare le sentenze di assoluzione.
"L'iniziativa volta alla verifica dei possibili (ed eventualmente anche
evidenti) errori di giudizio commessi dal primo giudice, nel negare la
responsabilità dell'imputato - scrive la Corte - non può qualificarsi in sé
'persecutoria': essa ha infatti come scopo istituzionale quello di assicurare
la corretta applicazione della legge penale nel caso concreto, e l' effettiva
attuazione dei principio di legalità e di eguaglianza, nella prospettiva della
tutela dei molteplici interessi, spesso connessi a diritti fondamentali".




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Consulta, legge Pecorella viola "parità delle parti" in processo
martedì, 6 febbraio 2007 2.32

ROMA (Reuters) - La legge Pecorella, che ha tolto al pubblico ministero il
potere di ricorrere in appello se l'imputato viene prosciolto in primo grado, è
stata dichiarata incostituzionale perché "altera il rapporto paritario tra i
contendenti".

Lo ha detto la Corte costituzionale nelle motivazioni della sentenza che ha
bocciato gli articoli portanti della legge varata sotto il governo di Silvio
Berlusconi.

La sentenza, scritta dal vicepresidente della Consulta Giovanni Maria Flick,
afferma che la legge "ha alterato il rapporto paritario tra i contendenti con
modalità tali da determinare anche una intrinseca incoerenza del sistema".

"Nella specie... la menomazione recata dalla disciplina ... ai poteri della
parte pubblica, nel confronto con quelli speculari dell'imputato, eccede il
limite di tollerabilità costituzionale... oltre a risultare intrinsecamente
contraddittoria rispetto al mantenimento del potere di appello del pubblico
ministero contro le sentenze di condanna", si legge nella sentenza con
riferimento agli articoli 1 e 10 comma 2 della legge che porta il nome del
parlamentare di Forza Italia ed avvocato di Berlusconi, Gaetano Pecorella.

Questo non significa però che la normativa sulle impugnazioni delle sentenze
di primo grado debba rimanere per forza quella precedente alla legge Pecorella.

Secondo la Corte, infatti, resta ferma "la possibilità per il legislatore? di
una generale revisione del ruolo e della struttura dell'istituto dell'appello"
e "non contraddice, comunque, il principio di parità l'eventuale differente
modulazione dell'appello medesimo per l'imputato e per il pubblico ministero,
purché essa avvenga nel rispetto del canone della ragionevolezza, con i
corollari di adeguatezza e proporzionalità".


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