Il primissimo che mi viene in mente – per rimanere in tema con le tematiche del libro di Levi (che peraltro non ho ancora avuto modo di leggere) -
"Cuore vigile" di Bruno Bettelheim, che a sua volta visse sulla propria persona l'esperienza dei campi di concentramento nazisti. Fu una lettura che mi colpì profondamente e che mi diede di che pensare su molti fronti. Su tutto però ciò che mi spiazzo' completamente fu una cosa a ben vedere del tutto banale. Banale nel senso che è ovvio aspettarselo da uno studioso: vale a dire il rigore scientifico con il quale affrontava l'analisi delle condotte e dinamiche comportamentali degli attori coinvolti. Banale, appunto, non fosse che l'oggetto di studio faceva capo a un contesto che l'aveva visto a sua volta attore e nei panni della vittima. Egli stava non solo raccontando ciò che aveva vissuto ma si proponeva, con ferma determinazione, di capire, interpretare, spiegare per arrivare poi a fornire un quadro interpretativo dotato di una sua coerenza e validità scientifica applicabile anche ad altri contesti umani.
Non farsi fagocitare dagli eventi, non cedere alla tentazione di annullarsi in essi... non derogare a se stessi neppure nelle situazioni-limite. Non derogare in particolare alla necessità tutta umana in primis di capire. Facile a dirsi ma.... Ricordo che chiudendo il libro rimasi un po' con quello in mano, sentendomi ridicola per la posa che sapeva insopportabilmente di retorico ma non riuscendo a fare niente di diverso. Lo rileggerò, prima o poi.