Abbiamo visto nelle argomentazioni precedenti come l'uomo nella sua totalità è composto dal corpo fisico e anima spirituale ora siccome la parola “anima” ha molteplici interpretazioni usiamo il termine spirito, abbiamo anche detto che il corpo dell'uomo essendo fisico, di materia, è prodotto per generazioni tramite i genitori, in quanto la materia può essere prodotta solo dalla materia, e dunque, lo spirito può essere prodotto solo dallo spirito essendo esso immateriale, sicché la materia non potrà mai produrre ciò che materia non è.
Tratteremo in questa argomentazione quali siano le basi per cui i nostri fratelli testimoni di Geova credono alla non esistenza dello spirito dopo la morte fisica, non è mia intenzione citare le numerose scritture le quali stanno a indicare l'esistenza o perlomeno la credenza anche se non in un modo completo di un qualcosa dell'uomo che vive dopo la sua morte.
Citerò solo qualche scrittura la quale è posta come fondamento della loro credenza e quindi il mio vuole essere solo un ragionamento -----------sull'argomento.
C'è una scrittura citata molto spesso dai testimoni di Geova la quale afferma,” c'è una eventualità tra l'uomo e la bestia e ambedue hanno la stessa eventualità, tutti sono tratti dalla polvere e tutti ritornano nella polvere come muore l'uno così muore l'altro affinché non ci sia superiorità dell'uomo sulla bestia”.
Questa scrittura ci dice semplicemente quello che sarebbe l'aspetto finale o la destinazione finale di ciò che è materiale, sotto l'aspetto biologico, si comprende bene che non vi è effettivamente nessuna differenza tra l'uomo e gli esseri animali, essi sono composti di elementi della terra e che quindi con la loro morte questi elementi ritornano alla terra, questo è un fatto, l'agiografo scrivendo questa affermazione non ha fatto altro che evidenziare ciò che era ovvio, visibile, logico e incontestabile, quindi sotto l'aspetto dei sensi o sotto l'aspetto di ciò che è fisico non c’è differenza tra l'uno e l'altro, la scrittura non ci dice però se c'è qualcosa dopo, ne se non c'è qualcosa dopo la morte, prende solo atto degli avvenimenti quotidiani i quali accadono a tutti gli esseri viventi.
Ma c'è un'altra scrittura la quale sembra dar ragione o perlomeno sembra avallare la tesi dei nostri cari testimoni di Geova sulla inesistenza di questo spirito, di questa” anima immortale”, questa scrittura è stata presa da ecclesiastiche al capitolo nove dal versetto nove in poi dove leggiamo, “ godi la vita con la sposa che ami per tutti i giorni della tua vita fugace, che Dio ti concede sotto il sole, perché questa è la tua sorte nella vita e nelle pene che soffre sotto il sole. Tutto ciò che trovi da fare fallo finché ne sei in grado perché non ci sarà né attività né ragione né scienza né sapienza giù degli inferi dove stai per andare”.
I nostri fratelli testimoni di Geova leggendo tale scrittura in modo superficiale, citano la medesima a sostegno della mortalità dell'essere umano nella sua interezza, una lettura superficiale e fondamentalista può sembrare che effettivamente sia così, dobbiamo comprendere che la Bibbia, la Sacra Scrittura, è parola dell'uomo che incastona la parola di Dio, il pensiero di Dio, bisogna scremare, togliere quelle scorie che sono le parole degli uomini affinché possa emergere quella che è la parola di Dio, ma quando si legge la Sacra Scrittura bisogna tenere conto non solo del genere letterario con cui l'autore ha scritto ma anche comprendere il contesto storico, sociale, antropologico in cui la scrittura è incastonata, non possiamo estrapolare un verso per adattarlo a ciò che è il nostro pensiero, tale agire è inquinare, manovrare quella che è la sacra scrittura, inoltre la rivelazione di Dio si è conclusa con l'ultimo libro della rivelazione divina cioè con il libro dell'apocalisse e con la morte dell'apostolo Giovanni si concluse la rivelazione di Dio, si conclude quello che il “Progetto Shalom”, non possiamo comprendere una scrittura se non usiamo il mezzo adeguato, non possiamo comprendere ciò che è destinato a un popolo lontano nello spazio e nel tempo rispetto a noi se non usiamo il mezzo che ci permette di esaminare questa scrittura, e qual è il mezzo se non la rivelazione neotestamentaria?, solo alla luce di Cristo possiamo comprendere quella che è la scrittura veterotestamentaria, quella scrittura che sarebbe stata la guida, che ci avrebbe portato nel progetto di Dio, quel progetto che si finalizza in Cristo, allora evidentemente quella scrittura veterotestamentaria va letta alla luce del fine ultimo della rivelazione, ossia nel “Kerygma gesuano”.
In questa ottica cerchiamo di poter capire cosa voleva dirci quella scrittura, se effettivamente con la morte l'uomo cessa di esistere dalla faccia dell'universo oppure se c'è un qualcosa che rimane dopo di lui, anche perché la scrittura non dice che esiste qualcosa dopo la morte ma neanche dice che non esiste qualcosa dopo la morte, l'autore sta facendo solo una riflessione sta considerando quello che è la destinazione finale di tutti i gli esseri viventi, di tutti gli esseri fisici, di tutti gli esseri fatti di materia, allora che differenza c'è tra un uomo il cui corpo è di materia e un animale il cui corpo è ugualmente di materia? sono formati entrambi dagli elementi della terra, hanno avuto entrambi l'inizio ed entrambi sono cresciuti, sviluppati, entrambi invecchiano ed entrambi muoiono, allora la riflessione che se ne deve fare non è in quanto alla specificità dell'essere, ma la sua condizione di vita quotidiana , il suo relazionarsi con il mondo fisico, l'autore vedeva il corpo del giovane che diventava vecchio, il corpo dell’animale invecchiare, vedeva le persone morire, vedeva gli animali morire, quindi la sua conclusione era più che logica come muore l’uno così muore l'altro, evidentemente associava che con la morte l'uomo non avrebbe avuto più nessuna possibilità di fare qualche cosa, di realizzare qualche disegno ,di amare qualcuno, con la morte tutti i sensi i quali l'avrebbero messo in condizione di relazionarsi con i propri simili non esistono più, questo non vuol dire che l'uomo “l'essere” cessava di esistere dalla faccia dell'universo, ma che semplicemente non esisteva più come essere fisico, vedremo come usando quello che è l'argomentazione neotestamentaria in modo particolare le lettere Paoline noi riusciamo a comprendere effettivamente quale sia l’interpretazione corretta della scrittura veterotestamentaria.
Prima di inoltrarci nell'esaminare la scrittura Paolina in modo che ci si possa permettere di comprendere il vero significato di quel testo del antico scrittore dobbiamo fare una breve premessa su gli attributi dell'essere.
La struttura dell'essere è identificata in tre particolarità, cito questa premessa usando termini che possono essere comprensibili, quindi ridotti per così dire all'osso, nella struttura dell'essere abbiamo,”
sostanze accidenti”,” materia e forma”,” potenza e atto”.
Lasciamo da parte i due aspetti di, sostanza accidenti e materia e forma, esaminiamo invece quello che interessa a noi ossia
“Potenza e Atto”, cosa si intende con la parola potenza? Semplicemente la parola dell'essere ad una attualizzazione, in parole povere la potenza è quella facoltà che lo spirito, l'essere pensante, o “anima” a nel fare o non fare, agire o non agire, come vediamo è una un aspetto immateriale è una attribuzione puramente intellettiva, in quanto la volontà, la ragione non sono aspetti tangibili i quali possono essere relazionati con il mondo fisico ma fanno parte di quella unicità dell'essere e quindi non essendo di materia sono aspetti spirituali patrimonio dell'essere spirituale.
Essere in “Potenza”, posso o non posso fare, ad esempio se io vedo su di un tavolo un bicchiere di aranciata posso prenderlo o posso non prenderlo, posso decidere di prenderlo ma posso anche decidere di non prenderlo in ogni caso ho sempre la facoltà dell'agire.
“L'Atto” altro non è che la realizzazione finale della potenza , mentre la potenza è insita nel mio “Io”, nello spirito nell'essere pensante, l'atto è” necessariamente fisico” senza il corpo non esiste l'atto ecco dunque se io essendo in potenza decido di prendere quel bicchiere di aranciata nell'atto è la conclusione della potenza e la sua realizzazione finale ma lo posso solo fare se io ho il mezzo per realizzare questa potenza ossia se io ho la mano per allungare prendere il bicchiere se io non ho la mano il bicchiere rimane dove si trova, io sarò sempre in potenza ma in questo caso non realizzabile, vediamo allora una grande unicità tra lo spirito e il corpo, tra la potenza e l'atto.
Esaminiamo allora cosa ci dice l'apostolo San Paolo il quale afferma in secondo Corinzi al capitolo 5 dal versetto6-10,
“ così dunque, siamo sempre pieni di fiducia e sapendo che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontani dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione. Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore. Perciò ci sforziamo, sia dimorando nel corpo sia esulando da esso, di essere a lui graditi. Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute fin che era nel corpo, sia in bene e in male.”
Da questa scrittura si evincono almeno due aspetti il primo, dello spirito l'io l'essenza della persona quella parte immateriale spirituale è quella che si presenta davanti al Cristo è ovviamente quando si presenta? se non dopo che il corpo è morto c'è un aspetto ancora più interessante l'apostolo Paolo parla di ricompensa delle opere compiute fin che essi era nel corpo allora si comprende bene che il corpo è il mezzo che lo spirito usa per adempiere la propria potenza, le opere si fanno con il corpo non si fanno con lo spirito, senza il corpo non ci sono gli atti e le opere sono “Atti” i quali vengono realizzati con il corpo non c'è possibilità di uscirne, senza il corpo non c'è possibilità di realizzazione di nulla, un esempio, se io ho un bicchiere di aranciata sul tavolo ma non ho il mezzo per prenderlo poiché non ho la mano l'atto non è realizzato, ne l'opera è realizzata, ecco allora che tutti quei frutti dello spirito, l'amore, la gioia, la bontà, la compassione. L’amore, tutti questi frutti dello spirito che vengono elencati in Galati rimangono sempre in potenza, affinché tali frutti dello spirito possano essere trasformati in “atti” cioè in opere c'è bisogno del corpo senza il corpo non si può fare nulla e non c'è possibilità anche se si volesse di rimediare gli errori che sono stati fatti, non potrà più attualizzare “l’atto” (opere)perché manca il mezzo per rimediare e questo mezzo è il corpo.
Comprendiamo dunque che con la morte termina la possibilità di realizzare la propria potenza in opere e quindi il disegno che noi avevamo non potrà mai essere realizzato, la morte fa cessare la possibilità di trasformare le nostre intenzioni in opere, la morte non fa cessare l'uomo in quanto essere spirituale sussistente, ma far cessare l'uomo in quanto parte del mondo fisico, possiamo ben comprendere ciò che quell’antica scrittura ci vuol comunicare le cui parole vertono una grande importanza, quello che puoi fare quello che decidi di fare fallo subito perché quando morirai non avrai più nessuna possibilità di farlo.
E’ vero, Paolo ci dice quando ci si presenta davanti al tribunale di Dio ci portiamo appresso tutto quello che abbiamo fatto nel bene e nel male non tutto quello che volevamo fare, no, tutto quello che abbiamo fatto e quando eravamo nel corpo prima di morire, all'ora vediamo che le parole di quel saggio hanno un grande valore e il messaggio è, finché l’essere è in vita ha l'opportunità di agire al fine di mostrare amore verso il prossimo e lo si mostra in tante maniere ma solo quando siamo nel corpo, prima di morire possiamo realizzare i nostri desideri possiamo coltivare le virtù ma si possono anche coltivare le cattive qualità si può peggiorare la propria condizione di essere e quindi sia nel bene e sia nel male quando si è morti non c'è più possibilità di rimediare l'unica cosa che rimane è solo il giudizio di Cristo per le opere che abbiamo fatte.
In Giacomo 2, 14-18 si legge.
“14 Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? 15 Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano 16 e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? 17 Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa. 18 Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede.”
La fede è elaborata dall’intelletto(potenza), le opere(atti) sono l’attualizzazione della fede, da ciò si riconosce l’importanza di non sprecare quel poco tempo che abbiamo per “Dimostrare” la nostra fede.
Ecco allora come vengono incastonate queste scritture le quali si completano a vicenda pur lontane nel tempo.
Giacomo cap. 2,14-18
“La fede senza le opere è morta”
, ci rimanda alla scrittura di.
Ecclesiaste cap 9, 10
“ 10 Tutto ciò che trovi da fare, fallo finché ne sei in grado, perché non ci sarà né attività, né ragione, né scienza, né sapienza giù negli inferi, dove stai per andare”
Le opere prodotte dalla fede sono atti i quali sono realizzabili solo se abbiamo il corpo fisico per attuarle, poiché l’apostolo Paolo ci dice che,
2Corinzi 5, 10
10 Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male.
Paolo ci dice che dopo la nostra morte non vi è più possibilità di realizzare nessun opera, e, quello che abbiamo fatto rimarranno come prove, a nostro favore oppure a nostra condanna.
Da questa considerazione comprendiamo che non si può prendere una scrittura e fargli dire (come i nostri cari fratelli testimoni di Geova fanno) quello che si vuole, perché essa va vista e considerata alla luce di quello che è l’intero messaggio nell’interezza della rivelazione di Dio.
Tommaso de Torquemada