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LACRIME DI COCCODRILLO?



10/08/2005
LIBERO QUOTIDIANO
SILVIO, IL CORRIERE E L'AMBASCIATOR CHE NON PORTA PENA
FELTRI VITTORIO
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la Repubblica
10 agosto 2005
IL PAESE COGNATO
EDMONDO BERSELLI

SE IL PRESIDENTE del Consiglio sostiene che lui con la scalata al Corriere
della Sera non c´entra, e se argomenta la sua completa estraneità con un
tono ultimativo, indignato, quasi sprezzante, i cittadini dovrebbero semplicemente
chinare il capo e accettare una smentita così autorevole. Accidenti, ha parlato
il capo del governo, non un portavoce qualsiasi. Ha liquidato l´idea che
Palazzo Chigi sia implicato in una delle operazioni più opache a cui si sia
assistito in questi anni tutt´altro che cristallini, spazzando via così l´eventualità
che l´anomalia italiana sia diventata una mostruosità.
Solo che per credere a Silvio Berlusconi ci vuole uno sforzo: e non tanto
perché le sue asseverazioni sono spesso precarie e destinate a durare il
tempo necessario alla realizzazione di un affare: vedi ad esempio la storica
smentita dell´acquisto del calciatore Alessandro Nesta, «a quelle cifre non
si può, il Paese non capirebbe», pronunciata solennemente al Meeting di Comunione
e liberazione a Rimini, destinata a culminare nell´annuncio trionfante di
Adriano Galliani: «Nesta è del Milan». Una trama da applausi, per chi ama
i bluff tenuti fino all´ultimo, con un ghigno di perfetto autocontrollo:
qualcuno ricorda per caso la sicurezza con cui nella primavera scorsa Berlusconi
ha sostenuto, davanti a Bruno Vespa, che il suo governo entro la legislatura
avrebbe portato il debito pubblico sotto la quota simbolo del 100 per cento
del Pil? Nessuno, naturalmente, sicché nessuno gli rinfaccia oggi una promessa
così temeraria.
Così come nessuno si stupisce per la fermezza con cui ha negato il nuovo
trapianto di capelli, anche se sei o sette giornalisti lo hanno visto con
i loro occhi uscire seminarcotizzato dall´ambulatorio ferrarese del dottor
Piero Rosati: «Ho accompagnato un amico». I giornalisti saranno tutti visionari,
ma allora "pezo el tacon del buso".
Il premier non si sarebbe reso assente dal consiglio dei ministri convocato
sul caso Fazio a causa delle placche in gola, e neppure per un serio intervento
di infoltimento tricologico, ma per una questione di amicizia virile.
Allora prendiamo diligentemente atto che Berlusconi non è implicato nella
manovra di assedio al Corriere, ma nello stesso tempo prendiamo nota che
un tale Ubaldo Livolsi, amico personale del presidente del Consiglio, membro
del consiglio d´amministrazione della Fininvest, protagonista a suo tempo
della creazione di Mediaset e della sua collocazione in borsa, è uno dei
registi, se non "il" regista, della scalata a Rcs. Non è il caso nemmeno
di pensare male secondo lo schema per cui, secondo ottima scuola, ci si azzecca:
si tratta semplicemente di registrare queste coincidenze e di connetterle
al tentativo di espugnare il Corriere.
Senza dimenticare che il giornale di via Solferino ha rappresentato durante
tutta la legislatura un´autentica ossessione per Berlusconi, la dimostrazione
precisa, a suo dire, della malevolenza dei giornalisti e e di un certo establishment
verso di lui. E che di conseguenza si sono visti tentativi continui di "riequilibrare"
la compagine azionaria, oltre che un processo per stregoneria antiberlusconiana
che ha condannato al rogo due direttori, Ferruccio de Bortoli e Stefano Folli.
Quindi è inutile dissimulare: le smentite di Berlusconi sul «castello di
fantasie e menzogne» che gente maligna sta costruendo ai suoi danni vengono
accolte con lo stesso scetticismo naturale che sollevano tutte le sue dichiarazioni
più solenni. Per certi aspetti è come se il presidente del Consiglio sostenesse
che il Milan non ha ingaggiato il calciatore Bobo Vieri transfuga dall´Inter,
bensì è stato il suddetto Vieri a chiedere asilo politico al dirigente berlusconiano
Adriano Galliani. Oppure che l´assegnazione del calcio in chiaro a Mediaset
è stato un successo del mercato, e non un collasso della concorrenza (e della
dignità, e della legalità), in seguito all´identificazione del comprato e
del compratore nella figura luminosa dell´onnipresente Galliani.
Tanto più che la scalata al gruppo Rcs sembra avvenire in un punto indistinto
fra l´orizzonte europeo e il cortile domestico. Da un lato infatti sembra
delinearsi un piano kolossal di una destra internazionale, maneggiona quanto
potente, in cui consorterie di un qualche livello, in grado di evocare legami
con l´ex premier spagnolo Aznar e suo genero Alejandro Agag, progetterebbero
una spartizione di entità continentale, centrata sul gruppo editoriale spagnolo
Vocento; e dall´altro invece, in Italia, si mobilita la squadra dei «furbetti
del quartierino», capeggiati da Stefano Ricucci, il «ragazzotto presuntuoso»
nella definizione irritata di Diego Della Valle, intorno a cui si sono organizzati
allegramente raider, finanzieri d´assalto, faccendieri pronti alla bisogna.
Con un profluvio di telefonate, cene berlusconiane in località della provincia
profonda come Valeggio sul Mincio, festeggiamenti per i successi e scene
madri per gli atteggiamenti della Consob, «trucchettini bancari» inventati
per le necessità urgenti, oltre ovviamente ai baci sulla fronte del governatore
Fazio, che oggi appaiono come una manifestazione d´affetto ormai remota,
superata dall´inventività della cronaca quotidiana.
Vero, è l´Italia della cuginanza individuata da Sergio Romano. Forse, meglio,
si tratta di un paese "cognato", frutto di matrimoni d´interesse e di unioni
cognatizie di fatto: favoriti, i matrimoni e le unioni, da oltre quattro
anni di governo ad hoc e di leggi ad personam. Per questo il progressivo
smarrimento delle regole, delle norme, delle convenzioni sarebbe forse perfino
comprensibile, in quanto iscritto nell´eterna malattia del familismo amorale,
agevolato dalla condiscendenza governativa; se non fosse che da Palazzo Chigi,
da Mediaset, dalla Finivest, da tutte le centrali del potere berlusconiano
parte un raggio che "eccita" ogni situazione economica, ogni intreccio finanziario,
ogni miscela mediatica, trasformando il paese cognato in un sistema malato.
Il presidente del Consiglio vigorosamente smentisce la gravità della malattia,
il ministro Carlo Giovanardi parla di un polverone, Fabrizio Cicchitto si
indigna a sua volta, ma a tutti loro viene da rispondere soltanto in un modo:
è il conflitto d´interessi, bellezze, e voi non potete farci niente (nemmeno
noi, purtroppo, almeno per il momento).



L'Unità
10 agosto 2005
Assalto Corsera, Berlusconi nega
ma ormai non gli crede nessuno
Si vuole comprare l?Italia
Antonio Padellaro

Fu a metà aprile, appena quattro mesi fa, che gli italiani appresero che
Silvio Berlusconi aveva incrementato il suo già cospicuo capitale incassando
con la vendita del 16,7 per cento di Mediaset 2 miliardi di euro ovvero quattromila
miliardi delle vecchie lire. Una domanda sorse spontanea: che ci farà con
tutti quei soldi? Qualche tempo dopo, nelle more dell?entente cordiale con
l?ingegner De Benedetti fu attribuito al presidente-padrone il seguente intento
programmatico: se vinco di nuovo le elezioni governerò l?Italia, se le perdo
me la compro. Progetto comunque verosimile perché avendo gli italiani sperimentato
sulla loro pelle la bulimia di potere che affligge il cavaliere nessuno potrebbe
mai pensare che una volta disarcionato da palazzo Chigi egli si rassegnerebbe
a trascorrere il resto dei suoi giorni dedicandosi alla coltivazione dell?ibiscus.
Dunque se costretto a un forzato riposo politico Berlusconi, dicono i bene
informati, vendicherà il suo ego scalando a tutto spiano colossi telefonici
(Telecom?), assicurativi (Generali?) e dell?informazione. A proposito di
giornali emerge, adesso, qualche ulteriore certezza. Non sappiamo, infatti,
se l?assalto al ?Corriere della sera? farà passare di mano la proprietà del
giornale di via Solferino. Ma che l?assalto sia in corso, condotto con determinazione
e grande dovizia di mezzi, è incontestabile poiché ad annunciarlo sono gli
stessi protagonisti della cordata. Ora, Berlusconi che definisce inesistente
la sua partecipazione all?operazione è il solito giochino che consiste nello
smentire una cosa falsa per negarne una vera. Nessuno, infatti, ha detto
o scritto che il premier voglia comprarsi in prima persona Rcs.
Non potrebbe neanche farlo a norma di legge (a meno che, come d?abitudine,
non ne faccia approvare in fretta e furia un?altra ad personam). Come ha
diligentemente spiegato il ministro delle Comunicazioni Landolfi la legge
Gasparri vieta ai detentori di quote del mercato televisivo di entrare nel
mercato della carta stampata.
Ma che gli scalatori siano tutti amici del premier o riconducibili a lui,
anche questo è sotto gli occhi di tutti. Un?affettuosa catena della solidarietà
che Sergio Romano ha efficacemente descritto proprio sulle colonne del Corriere
traendone materia viva dalle numerose intercettazioni e interviste accumulatesi
in questi giorni. Il finanziere Stefano Ricucci che dichiara di essere impegnato
nella scalata e attende l?intercessione di Silvio Berlusconi per meglio portarla
a termine. Emilio Gnutti (un altro molto dotato in quanto a liquidità) che
impegnato nella stessa operazione dice a Ricucci di aver parlato con il presidente
del Consiglio e di avergli detto che «ci deve dare una mano».
Poi c?è Alejandro Agag, genero dell?ex premier e alfiere della destra spagnola
José Maria Aznar, contattato per il tramite di Ubaldo Livolsi. Quest?ultimo,
consigliere di Fininvest, la società della famiglia Berlusconi, che si presenta
come una sorta di deus ex machina dell?intero affare. Senza contare i comprimari
(o presunti tali) come Flavio Briatore impegnato a costruire una mediazione
tra il medesimo Ricucci e il premier.
Vedremo come andrà a finire ma negare l?evidenza ci sembra a questo punto
difficile. Lo diciamo anche a beneficio di chi alla parola regime si fa venire
l?orticaria. Chiamatelo come volete se vi va di vivere in un paese dove uno
solo oltre al controllo di tre tv private (Mediaset), di tre pubbliche (Rai),
del più grande gruppo editoriale (Mondadori), di uno svariato numero di testate
(Il Giornale, Panorama) intende mettere le mani sul più grande quotidiano
italiano. In fondo, basta sapersi adattare.





IL CAVALIERE INELEGGIBILE E IL D'ALEMA SMEMORATO
di Paolo Sylos Labini - novembre 2000
(MicroMega, 2000, fasc. 5, p. 7-12)

Alla festa dell'Unita' di Bologna D'Alema ha dichiarato (<>,
15 settembre 2000): < per incompatibilita', la decisione della Giunta per le elezioni e' stata
una finzione>>. Successivamente, in un'intervista televisiva ha dichiarato
(<>, 28 ottobre): < per le elezioni della Camera, a maggioranza di centrodestra, delibero' che
titolare delle concessioni delle aziende non era Berlusconi ma Confalonieri>>.
<>, domanda il giornalista, < cui D'Alema era presidente, non si riusci' a risolvere la questione?>>. Risposta:
< ha promesso mille volte che avrebbe venduto le sue tv, ma non lo ha fatto>>.

Nel 1996 alcuni intellettuali - io ero fra questi, gli altri erano Borrello,
Bozzi, Cimiotta, Flores d'Arcais, Galante Garrone, Laterza, Pizzorusso, Visalberghi
- organizzarono un gruppo di pressione per far rispettare la legge 361 del
1957,che stabiliva l'ineleggibilita' in Parlamento dei titolari di concessioni
pubbliche di rilevante interesse economico e ci attivammo per far presentare
ricorsi a chi ne aveva diritto; chiedemmo anche consigli a Ettore Gallo,
che era stato presidente della Corte costituzionale. Data l'importanza della
questione ci documentammo con scrupolo: per questo siamo cosi' bene a conoscenza
delle vicende cui allude sommariamente D'Alema, il quale tuttavia parla solo
della Giunta per le elezioni del 1994.

Quella Giunta, e' vero, era a maggioranza di centrodestra, ma i ds votarono
insieme col Polo: l'unico voto contrario lo dette Luigi Saraceni, che agi'
da cane sciolto e non fu riconfermato nella Giunta della successiva legislatura,
quella del 1996; qui la maggioranza nella Giunta per le elezioni era di centrosinistra,
ma - e' triste dirlo - i ricorsi furono respinti all'unanimita', nonostante
gli appelli del nostro gruppo. Entrambe le volte i ricorsi furono rigettati
con una <>, dice D'Alema, con un osceno cavillo, diciamo noi: ineleggibile
non era Berlusconi ma ......Confalonieri.

Pertanto, le recenti dichiarazioni di D'Alema debbono essere interpretate
come un riconoscimento che le precedenti prese di posizione - specialmente
la seconda - furono due errori politici, da correggere dunque subito, malgrado
le rilevanti difficolta'. La linea del gruppo dirigente dei ds allora era
di un appeasement con Berlusconi; per i Popolari c'era anche il motivo di
aiutare Cecchi Gori, che, nel suo piccolo, si trovava nelle identiche condizioni
di Berlusconi - aveva gia' una rete televisiva, poi ne ottenne un'altra -
e intendeva essere eletto in Parlamento. Quelli, come noi, che sostenevano
che in un paese civile le leggi debbono essere rispettate da chiunque, amico
o awersario, furono trattati come fastidiosi <>, che non comprendono
nulla di politica.

Le responsabilita' dei ds nella progressiva affermazione di Berlusconi, che
nel 1995 era in condizioni politiche e finanziarie quanto mai precarie, sono
gravi. Ancora nell'ottobre del 1999 il circolo Giustizia e Liberta' di Roma
in collaborazione con la rivista <> organizzo', al cenacolo della
Camera un convegno sul tema <>
invitando persone che potessero rappresentare il vertice dei ds: avemmo assicurazioni,
ma non venne nessuno.

Al convegno, i cui atti furono pubblicati nel fascicolo di novembre della
rivista, presentarono relazioni, oltre chi scrive, Vittorio Cimiotta, Alessandro
Pizzorusso, Giovanni Sartori, Elio Veltri, Carlo Vallauri e svolsero interventi
Roberto Borrello, Giuseppe Bozzi, Aldo Corasaniti e Primo Di Nicola. E bene
parlare con grande chiarezza e senza peli sulla lingua: i ds hanno legittimato
Berlusconi sul piano politico, contribuendo al suo successo - i milioni di
voti, che comunque in una democrazia non possono legittimare chi ha violato
le leggi, in qualche misura provengono, oltre che dal terribile potere persuasivo
della televisione, anche da quella legittimazione, che ha rafforzato l'idea,
gravemente fuorviante, che Berlusconi e' uomo di destra ed e' percio' che
si contrappone alla sinistra. Ma qui destra e sinistra c'entrano ben poco:
io sono in rapporti di stima e di amicizia con diversi uomini di destra che
sono anche pi- di me critici del Cavaliere e lo considerano, come me, un
pericolo per la democrazia. La legittimazione di Berlusconi operata dai ds
e dai suoi alleati ha avuto effetti anche sul suo rafforzamento finanziario,
proprio nel tempo in cui le societa' del Cavaliere erano oberate da debiti.

Secondo il giornale <> dell'8 luglio 2000, nel 1994 Berlusconi
aveva un passivo di circa 4 mila miliardi e qualche banca, come il Credito
italiano, cominciava a chiedere i rientri; in seguito, < politico>>, le banche via via rinunciarono a chiedere i rientri e fecero
anzi grossi prestiti, che contribuirono a fargli superare le gravi difficolta'
e portarono alla fine al rovesciamento della sua situazione finanziaria:
da un passivo di 4 mila miliardi il Cavaliere passo' ad un attivo che oggi
si stima a 30 mila miliardi. Il <> fu fortemente condizionato
dal mutato atteggiamento dei principali awersari politici, i ds, che passarono
da un censurabile estremo ad un altro estremo non meno censurabile: dalla
totale ostilita' di Occhetto, che voleva <> il Cavaliere,
assunsero un atteggiamento di polemica blanda e in fondo amichevole, come
risulta dalla linea adottata nelle due Giunte per le elezioni, in cui decisero
di prendere per buono quel miserabile cavillo,aggirando in tal modo una legge
dello Stato.

Quando il Cavaliere si vanta di essere un grande imprenditore, occorre osservare
che, se non fosse stato per la prepotenza di Craxi, contro la quale inutilmente
si scontro' l'opposizione di uomini politici civili - alludo a Martinazzoli
ed ai suoi amici - egli non avrebbe avuto quelle concessioni televisive che
hanno dato la principale spinta alla sua enorme crescita finanziaria; e quelle
concessioni non hanno da fare coi rischi di mercato, sono invece simili ai
brevetti (exclusive privileges) concessi dalla monarchia inglese alla Compagnia
delle Indie per condurre affari anche illeciti restando impunita: Adamo Smith
bollava quelle concessioni come un'infamia.

Ben diverso e' il caso dell'imprenditore che si afferma nel mercato senza
prepotenze o appoggi di uomini politici. La fortuna finanziaria del Cavaliere
e' stata quindi avviata da Craxi e in seguito - di nuovo: e' triste dirlo
- assecondata dai ds, con la beffa che, cio' nonostante, essi sono stati
continuamente vilipesi e bollati come nipotini di Stalin.

E stato affermato: D'Alema ha scelto la via dell'appeasement con Berlusconi
perche' aveva l'idea della Bicamerale, che presupponeva buoni rapporti con
lui: non poteva, da un lato fare la guerra al Cavaliere toccando proprio
uno dei suoi principali interessi e dall'altro ottenere la sua collaborazione.
Se e' cosi', allora l'errore e' stato proprio di avviare la Bicamerale con
un personaggio come Berlusconi. Alcuni - io fui tra questi - lo misero subito
pubblicamente in evidenza. D'Alema doveva rendersi conto che la Bicamerale
poteva diventare una trappola quando Berlusconi gli chiese d'includere la
riforma della giustizia nell'agenda, un punto fondamentale che in un primo
momento non era previsto; era ovvio che la richiesta era da collegare coi
problemi giudiziari del Cavaliere: interessi privati in atti di ufficio;
niente meno: atti di ufficio riguardanti la riforma della Costituzione.

Purtroppo D'Alema non fece una piega e, senza pubbliche discussioni, incluse
nell'agenda anche la giustizia. Questa, non c'e' alcun dubbio, da noi funziona
malissimo, ma le riforme necessarie potevano - e possono - essere introdotte
con leggi ordinarie. La Costituzione deve limitarsi ad affermare solo i principi
generali, che sono quelli tradizionali della separazione dei poteri; e tale
affermazione e' gia' contenuta nella nostra Costituzione.

Ogni volta che si rimette in discussione la questione del conflitto d'interessi
Berlusconi obietta: ma io stesso ho presentato un progetto di legge che e'
stato approvato all'unanimita' dalla Camera nel 1998: se il centrosinistra
lo fara' approvare anche dal Senato la questione e' risolta. Ma il centrosinistra
lo approvo' quando aveva adottato la linea dell'appeasement; questa linea
e' venuta meno quando il Cavaliere rovescio' il tavolo della Bicamerale dicendo
brutalmente che le riforme che lo riguardavano, quelle della giustizia, non
gli davano sufficienti garanzie. E vero: D'Alema mise in evidenza che la
Bicamerale era fallita per colpa di Berlusconi; ma, considerato il grande
impegno che aveva profuso nel tentativo e considerata la figura infelice
che il Cavaliere gli faceva fare tale e' la figura di un politico che mostra
di fidarsi di un personaggio come Berlusconi - D'Alema non reagi' con sufficiente
veemenza.

Era quello il momento di avvertire il Cavaliere che la linea dell'appeasement
veniva necessariamente meno e che avrebbe appoggiato un progetto di legge
serio per il conflitto d'interessi. Pare che intenda farlo nel prossimo futuro:
stiamo a vedere.

Le ipotesi per risolvere la questione del conflitto d'interessi dei titolari
di concessioni pubbliche sono diverse. Il progetto di legge proposto da Berlusconi
nella formulazione originaria e' una beffa; una prima ipotesi e' appunto
quella d'introdurre emendamenti sostanziali, inserendo la regola della incompatibilita'.
In effetti, le ipotesi fondamentali sono due: ineleggibilita' al Parlamento
o incompatibilita' con incarichi di governo.

Diversi politici preferiscono la seconda ipotesi, giacche' anche chi non
e' parlamentare puo' ottenere quegli incarichi. In ogni modo occorre una
norma <> per ben chiarire chi deve intendersi per titolare della
concessione ed evitare il bis del cavillo escogitato dalle due Giunte per
le elezioni. Ed occorre una norma che impedisca di aggirare le regole ricorrendo
a parenti, come ha gia' fatto Berlusconi per mantenere la proprieta' del
<>. Puo' darsi che la soluzione preferibile sia quella di stabilire
l'incompatibilita', aggiungendo due norme, una <> ed una <>.

Chiarito tutto cio', si deve dire che, dopo le dichiarazioni riportate sopra,
D'Alema non puo' rimanere inerte; la scelta di una delle alternative appena
ricordate spetta al D'Alema politico, al suo partito ed ai partiti alleati.
Mi rendo ben conto che il compito e' molto difficile; ma credo che D'Alema
a sua volta si renda conto che oramai, per la sua stessa immagine, deve far
seguire le azioni alle parole. Non e' detto che abbia successo; ma c'e' modo
e modo di perdere: se si batte in modo serio, la sua azione puo' servire
a rendere ben chiaro agli elettori, anche con riferimento all'esperienza
della Bicamerale, chi e' Berlusconi.

Se D'Alema intende impegnarsi a fondo, credo di potergli assicurare la collaborazione,
oltre che mia, delle persone che ho nominate prima, una collaborazione che
puo' essere estesa anche ad altri membri del suo partito e dei partiti alleati.
Credo che pochi, anche tra i critici di Berlusconi, si rendano ben conto
del tremendo pericolo che corre la democrazia italiana se il Polo della liberta'
vince le prossime elezioni. <>, aveva detto Previti
(che in questo periodo si e' defilato).

Non occorre essere particolarmente pessimisti per prevedere liste di proscrizione
e per ritenere che l'uomo fara' una bella riforma della giustizia che tenga
il dovuto conto della sua posizione e di quella dei suoi soci piu' esposti
mi riferisco a Previti e a Dell'Utri - e che cerchi di attuare due leggi:
la prima, preannunciata quando era presidente del Consiglio, per riformare
la stampa allo scopo di impedire le <> dei giornalisti; la seconda,
una legge che fissi norme per selezionare buoni insegnanti e buoni libri
di testo, mettendo al bando quelli che diffondono falsificazioni e veleni
marxisti tra i giovani, come l'esaltazione della Resistenza e la denigrazione
sistematica della patria: la Casa delle liberta', com'e' naturale, esige
un giornalismo della liberta' ed una scuola della liberta'. (In nessun paese
civile esiste un comitato pubblico per mettere all'indice libri scolastici
<>; sono le associazioni di genitori e di studenti che hanno il
diritto di formulare e rendere pubbliche le loro valutazioni. Ma forse Confalonieri
ha ragione: siamo un paese semilevantino.)

No, non vedo il rischio di una dittatura vera e propria, vedo pero' il rischio
di un regime a liberta' fortemente limitata, conforme agli interessi economici,
istituzionali e culturali del partito-azienda e dei suoi alleati, con conseguenze
reversibili solo con enormi difficolta' e in tempi non brevi anche dopo la
fine del governo berlusconiano. Al tempo stesso, di nuovo, non occorre essere
particolarmente pessimisti per immaginare come potra' essere l'azione di
governo del padrone della Casa delle liberta': considerata l'incredibile
varieta' dei suoi interessi - televisioni, banche, assicurazioni, immobili,
attivita' commerciali e pubblicitarie - pare impossibile, per Berlusconi
primo ministro, non incappare continuamente nella sua attivita' in qualche
conflitto d'interessi.

Cosicche' se, come ha dichiarato, intendesse astenersi su ogni atto di governo
dove fosse in gioco un suo interesse, dovrebbe, e' stato spiritosamente osservato,
astenersi dal governare.

Questa situazione non condiziona solo il nostro paese; considerato l'infittirsi
delle nostre relazioni in Europa e delle direttive emanate dagli organi europei,
i nostri partner si renderebbero ben conto che il fenomeno Berlusconi non
riguarda solo noi italiani, come finora hanno mostrato di credere, ma anche
loro, cio' che renderebbe ancora piu' gravi le loro preoccupazioni derivanti
dalle liaisons dangereuses con Bossi e, attraverso Bossi, con Haider.

Insomma, credo che non sia affatto esagerato mettere in risalto i due rischi
tremendi - in una certa misura collegati che correrebbe il nostro paese se
Berlusconi tornasse al potere: il primo riguarda il nostro sistema democratico,
il secondo la nostra permanenza in Europa. Su questi due gravissimi rischi
dobbiamo riflettere tutti, finche' siamo in tempo.

INES TABUSSO