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LA PADANIA
29 marzo 2006
BOLLITI DI LAVORO
Gianluigi Paragone

Farsi impartire lezioncine dalla Cina, proprio no! Ai tempi di Mao non si mangiavano i bambini? Non li bollivano? Gli lascio il beneficio del dubbio e chiudo la vicenda con un bel e chi se ne frega. A me interessa cosa fanno adesso, i compagnucci cinesi.
Il governo di Pechino, pochi mesi fa, ha ammesso la vendita degli organi dei condannati a morte. Ora, mi domando: si può accettare lezioni di democrazia da un governo che ha il più alto numero di condannati a morte, che di questi condannati a morte non si sa nulla (Amnesty International ritiene che ci siano anche oppositori politici) e che commercia pezzi di cadavere?
Romano Prodi ancora una volta si è dimenticato una regoletta aurea che consiglia di contare fino a dieci prima di parlare. Se avesse contato fino a dieci, forse avrebbe taciuto. Invece ha espresso solidarietà al governo di Pechino, ha ironizzato su Berlusconi e soprattutto ha ribadito quel grande paradosso che noi della Cina dobbiamo essere amici. Evidentemente Prodi dev’essere stato uno di quegli scolaretti che, per evitare di essere menato dai più grandi, pagava le merendine. Qui è uguale: la Cina ci fa chiudere le aziende per colpa di una concorrenza sleale e noi gli dobbiamo baciare le scarpe.
Finché certe cose le dicono Bertinotti e Diliberto, poco male: il leader dei Comunisti Italiani è convinto che il “comunismo capitalista” di Pechino è - parole sue - un modello da seguire. Ma che anche gli altri gli si mettano a coda, è preoccupante. La Cina è un capolavoro di ingiustizie sociali, di violazioni sistematiche: in nome di quel profitto dannato (ma che fa crescere il pil), Pechino fa finta di non vedere - per non dire che è accondiscendente - i bambini che cuciono i palloni o le scarpe, gli anziani piegati sui telai per fare le... ...magliette, le donne incinte che respirano sostanze tossiche e via di questo passo. Ma quale dignità dell’uomo è questa? Lo Stato comunista è padrone delle persone. E la sinistra che tanto blatera a casa nostra non ha tirato fuori un documento ufficiale di condanna sulla negazione di questi diritti. Né lo hanno fatto i sindacati sempre così sensibili alle angherie di questo governo.
Nelle trecento pagine di programma elettorale, non c’è una parola di richiamo ai diritti universali, calpestati in nome e per conto di una glorificazione del sistema cinese. Quindi per che cosa dovremmo chiedere scusa?
La Cina cominci ad adeguarsi alle regole di tutti: è stata fatta entrare nel Wto, cioè nell’organizzazione mondiale del commercio, senza pretendere il rispetto minimo delle regole.
Ci siamo ritrovati con gli scaffali dei negozi pieni di merce cinese di ogni tipo, senza tuttavia avere certezze in merito a come questa merce viene prodotta, da chi viene lavorata, con quali sostanze e in quale rispetto dell’ambiente.
La Lega fu la prima, con Umberto Bossi, a parlare dei dazi doganali e di contromisure forti (tra l’altro previste dal Wto) per arginare il fenomeno cinese. Fu deriso. Ora, l’Europa ha capito che i dazi sul tessile ci vogliono. E ci vogliono pure sulle calzature. È un provvedimento minimale, ma è già qualcosa. Certo che non basta, ma intanto un segnale anche politico andava compiuto. Dall’altra parte cosa dicono? Che i dazi fanno ridere? Che sono fuori dalla storia? Bene, glielo vadano dire a Biella, a Prato, nel Verbano e in tutti gli altri distretti dove gli scambi con il mercato asiatico stanno andando in corto circuito.
A Prodi conviene fare il lecchino di Pechino (toh, c’è anche la rima baciata) piuttosto che vedere i bambini bolliti di lavoro. Può far finta di non conoscere la tragedia dei laogai, cioè dei campi di concentramento cinesi. Può far finta di non ricordarsi che le figlie femmine fino a pochi anni fa venivano uccise per ragioni legate al controllo delle nascite. Queste cose non se l’è inventate Berlusconi. Sono scritte sui libri. Non si vogliono leggere Il Libro nero del Comunismo perché loro, di partiti comunisti, ne hanno due dentro la coalizione? Va bene, se ne leggano altri oppure lascino i comunisti alla polvere della preistoria politica.
INES TABUSSO