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LA STAMPA
12 aprile 2006
Subito al Governo
di Giulio Anselmi


Ora che dispone di una maggioranza, per quanto risicata, il centro-sinistra deve provare a governare. «Provare»: perché nessuno può nascondersi le gravissime difficoltà legate alla natura della coalizione che il voto ha premiato, ridimensionando però i moderati e accentuando il peso delle ali estreme, dalla sinistra rosso-verde a Di Pietro. L’analisi dei prodiani più convinti, secondo i quali la maggioranza trasformerà la debolezza numerica in forza politica, essendo costretta a restare compatta per sopravvivere, sconta l’ottimismo che accompagna il successo. Ma non esistono alternative.

Da una parte, lo impongono le regole della democrazia: lo schieramento guidato da Prodi, anche se ha ottenuto una vittoria politicamente debole, perché gracile è il consenso che lo sostiene, supera comunque il centro-destra, pur arricchito dei voti che gli sono stati improvvidamente regalati con le dichiarazioni sulla tassazione dei Bot e sull’imposta di successione. Dall’altra, lo pretende lo stato del Paese: al termine di una campagna logorante, che ha reso ancor più lontana perfino la percezione dei problemi strutturali del sistema Italia - dal debito pubblico alla qualità dell’amministrazione, dalla crescita economica al ruolo nella società globalizzata - non si può indugiare oltre nell’affrontare i problemi. Tocca al centro-sinistra dimostrare che è in grado di risolverli.

Per questo motivo appaiono peregrine le ipotesi messe in campo, a urne appena dissigillate, di governi tecnici e di larghe coalizioni. Peregrine e un tantino sospette: chi parla di governo d’unità nazionale, dietro l’invocazione di superiori esigenze, lascia trapelare marmellate centriste. Non è questo il momento di fermarsi a immaginare diversi equilibri politici, perfettamente legittimi ma di là da venire. E l’ipotesi di larga intesa abbozzata da Berlusconi appare più il frutto della volontà dello sconfitto di non lasciare il potere che non un segnale di maturazione politica. E oggi, dopo una campagna elettorale all’arma bianca in cui agli avversari non sono state risparmiate accuse durissime, sembrerebbe anche incomprensibile ai cittadini. Berlusconi, che conosce meglio di chiunque altro la pancia degli italiani (non solo quelli, come continua a pensare gran parte della sinistra, col portafoglio rigonfio, ma le classi medie), dovrebbe essere il primo a rendersene conto.

La velleità di un ritorno immediato alle urne è già caduta. Ciampi ha messo la prima pietra per il futuro apponendo un autorevole sigillo di garanzia sulla regolarità e sulla correttezza delle elezioni. Resta però un dubbio circa la linea che i suoi consiglieri giuridici, forse per eccesso di correttezza costituzionale, gli suggeriscono: rinviare al suo successore (o a se stesso in un secondo mandato) la designazione del nuovo presidente del Consiglio. In un sistema semimaggioritario, in cui i partiti hanno indicato il leader della coalizione per ottenere il premio di maggioranza, la scelta del premier da parte del capo dello Stato non ha nulla di discrezionale. Ha senso, quindi, perdere quasi due mesi, lasciando il Paese allo sbando?

INES TABUSSO