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LA STAMPA
5 maggio 2006
RAI UNO? PRIVATIZZIAMOLA PER RIAPRIRE IL MERCATO TV
GAD LERNER

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LA STAMPA
11 maggio 2006
CULTURA
CURZI REPLICA A LERNER SULL’INFORMAZIONE
La Tv? Non solo business
di Alessandro Curzi







Alessandro Curzi
Ho apprezzato molto la tempestività e la chiarezza dell'intervento di Gad Lerner - pubblicato sul Mulino e opportunamente rilanciato venerdì da La Stampa - sulla necessità di «riaprire» il mercato televisivo. Sono d'accordissimo con lui: è proprio di questo che ha bisogno, addirittura con urgenza, il Paese (il nostro sistema della comunicazione, la nostra economia e la nostra società nel suo complesso); è proprio questo che dovrebbe fare, nel più breve tempo possibile, il muovo governo di centrosinistra. Bisogna «uscire dall'immobilismo», «favorire un'equa redistribuzione delle risorse pubblicitarie», «incentivare la concorrenza» e «debellare lottizzazione e conformismo», favorendo un «salutare rinnovamento della politica stessa».

Come arrivare a tutto questo? E' sulla ricetta proposta da Lerner, con una coerenza e una franchezza apprezzabili - «interventi di liberalizzazione» e «privatizzazione di una o due reti Rai» (a cominciare da Rai Uno) - che mi pare utile fare qualche riflessione e porsi qualche domanda non inessenziale.

1. La proposta di Lerner mi pare che centri solo un aspetto del problema, che è quello del «business». Investire in televisione, ha ragione, deve e «può tornare ad essere un business attraente». Ma la televisione non è solo business. Altrimenti non avremmo, come succede ovunque, un «servizio pubblico» e, come succede in particolare in Europa, un forte servizio pubblico. Forte e autorevole come, ad esempio, in Gran Bretagna con la Bbc, alla quale tutti giustamente guardiamo come modello da imitare, in termini di autonomia dalla politica, di capacità tecnico-professionali, di influenza culturale sull'intero sistema e di forza sul mercato. Devo aggiungere che, non a caso, si va verso più forti sinergie e una politica di rafforzamento dei servizi pubblici europei, in risposta ai limiti emersi, ai danni causati e alla crisi del modello commerciale duro e puro.

2. Sarebbe un errore, a mio avviso, porsi preliminarmente il problema di «spedire sul satellite Retequattro» e comunque a misure che apparirebbero «vessatorie» nei confronti di Mediaset (peraltro sulla base di un'impostazione ricattatoria della questione che favorirebbe, ancora una volta, chi ha sinora vessato il sistema, penalizzando complessivamente il mercato e in maniera specifica gli interessi degli altri operatori). Ma si può almeno dire che sarebbe ugualmente un errore e vessatorio, nei confronti del servizio pubblico, cominciare col dimagrimento della Rai, anzi con la sua marginalizzazione attraverso la cessione proprio della sua rete ammiraglia? Capisco Lerner e la sua tentazione del «decisionismo». Ma la questione del riassetto del sistema della comunicazione è assai complicata, coinvolge vasti e variegati interessi sociali, enormi interessi finanziari e complesse acquisizioni ed evoluzioni tecnologiche. Per non parlare del «conflitto di interessi», che ha devastato nell'ultimo decennio la nostra vita politica, istituzionale, sociale, economica e imprenditoriale.

3. La «strada maestra» appare dunque, in tutta evidenza, quella di fissare dei principi generali - come è doveroso e come si fa in ogni società democratica e liberale - ai quali tutti debbano attenersi. Principi generali connotati da equità e intelligentemente riferiti agli sviluppi del mercato e della tecnologia. In questo senso, Lerner sa bene che il riferimento al numero delle reti e allo stesso affollamento pubblicitario - in virtù dell'espansione del satellitare, della pay-tv, delle sinergie fra Tv, telefonini e internet, ecc. - diventa sempre più inadeguato e di difficile applicazione pratica. E' stabilmente emersa la necessità di pervenire alla definizione di principi e di tipologie di «tetti», in difesa del pluralismo e della stessa libertà di mercato, che reggano al confronto con la realtà. E c'è chi, ad esempio, propone di fare riferimento più propriamente e realisticamente alla «capacità trasmissiva» dei singoli operatori.

4. Da ultimo, il servizio pubblico. Non condivido il sostanziale disinteresse di Lerner per l'esistenza e il ruolo di un forte servizio pubblico, di fatto assente nella sua visione di un sistema nel quale la Rai debba vendere due delle sue tre reti, a cominciare da Rai Uno. Credo - e qui sono in buona e autorevole compagnia, di tutti gli orientamenti politici e culturali - che la rilevanza del sistema della comunicazione per la società e la democrazia esiga, qui ed ora, di un servizio pubblico autorevole e, certo, sottratto al controllo dei partiti. Insomma, dobbiamo buttare l'acqua sporca, ma non il bambino.


INES TABUSSO