00 08/08/2006 18:47

DA STAINO AL RIFORMISTA: RICOMINCIAMO?


SE "una parte della pubblica opinione che ha come riferimento i Ds" TROVA "un collaboratore qualsiasi" CHE RACCONTA DEI FATTI, BISOGNA CORRERE AI RIPARI PERCHE' C'E'IL PERICOLO CHE VOGLIA "dare la linea"?
MA NON SAREBBE PIU' GIUSTO, COME SCRIVE PADELLARO, DISTINGUERE TRA GIORNALI E PARTITI? E I LETTORI, PRIMA DI DIVENTARE ELETTORI, NON AVREBBERO IL DIRITTO DI FARSI UNA LORO IDEA SULLA BASE DEL MAGGIOR NUMERO POSSIBILE DI FATTI, E NON SOLO SU QUELLI SCELTI PER LORO DAI GRANDI FRATELLI?




"Il travaglio (interiore) di Bobo, l´angoscioso dubbio sul non sentirsi più di sinistra, preso com´è a sospettare inciuci dappertutto, ha un´altra faccia della medaglia. Quella dei lettori di sinistra scandalizzati dalla sinistra d´accordo con Forza Italia sull´indulto: quello dei poveri cristi e quello dei furbetti. Non illudiamoci: stare al governo comporta il rischio della disunione perché il decidere comporta sempre una quota d´impopolarità. Ma questo è un problema dei partiti dell´Unione. Noi come Unità abbiamo un altro compito: difendere il non piccolo spazio di libertà che ci siamo conquistati, giornalisti e lettori. Diciamoci tutto. Ma con rispetto. Senza questioni personali. Con un pizzico d´ironia (possibilmente) Sergio e Marco, io vorrei tenermeli tutti e due, ci ha scritto un lettore. Ecco".
(Antonio Padellaro, L'Unita', 5 agosto 2006)




"Sono un direttore molto meno disperato di quello che descrivono le vignette di Staino. Dispiace un po' che tutto si sia trasformato in un caso personale, perché la sfida è piuttosto tra due linee politiche. Ed è l'effetto della legge sull'indulto. Infatti, la maggioranza delle lettere all'Unità è critica. E critici lo siamo anche noi: perché un decreto così importante non è stato spiegato all'elettorato; e perché nell'indulto, che ho sempre sostenuto, ci sono misure a favore dei furbetti del quartierino. E all'Unità noi ne abbiamo fatte tante di battaglie di legalità contro le leggi-vergogna e ad personam".
(Antonio Padellaro, Corriere della Sera, 8 agosto 2006)




"Dobbiamo costruire qualcosa, dobbiamo aprire strade per un futuro diverso, dobbiamo lasciare ai nostri figli una speranza, un segno, un qualcosa di più grande eterno e nobile che una triste e povera forca. E in questo Travaglio non può aiutarci. Non può essere lui a darci la linea. Per una ragione, ripeto, molto semplice: Travaglio è di destra mentre noi siamo di sinistra".
(Sergio Staino, "Il Tirreno", 5 agosto 2006)




"Staino considera chi sta dalla parte della legalità come un forcaiolo di destra. Io ho smesso da molti anni di chiedermi se quello che scrivo è di destra o di sinistra. Dal momento che racconto dei fatti, vorrei essere giudicato su quelli. Vorrei che mi dicessero se è vero o no quello che scrivo".
(Marco Travaglio, "Il Tirreno", 7 agosto 2006)




"Lette le dichiarazioni di Mancino, l’Unità, attraverso ii commento del suo interprete e esperto in materia di giustizia Marco Travaglio [1], ha reagito con un aspro attacco al viceprecidente del Csm... E quel che preoccupa è che oggi l’Unione e ii governo non esprimano, anche in questo campo, una linea politica condivisa e incisiva. Lo abbiamo visto in occasione della legge sull’indulto. In questa circostanza è tornato in campo il partito giustizialista trasversale. La storia della mancata esclusione dei reati finanziari dai benefici dell’indulto si è rivelata per quella che era: uno scudo con la faccia di Previti (che era già fuori) per coprire l’opposizione alla legge. Non è un caso che sullo stesso fronte si sono ritrovati la Lega col cappio del ‘93, associata ad An e alla riedizione dell’Unità di quell’anno con l’alfiere Di Pietro. L’attacco dell’Unità alle dichiarazioni di Mancino non è quindi una parentesi, un giudizio personale di un collaboratore qualsiasi ma esprime le posizioni di una parte della pubblica opinione che ha come riferimento i Dc e che condiziona, checché ne dica ii segretario Fassino, la politica di questo partito e anche dell’Unione. Penso al peso che hanno l’Anm e alcuni magistrati che hanno ricoperto un ruolo importante nelle procure negli anni novanta.
Ii nodo irrisolto è quello cui ho accennato: si puô respingere l’attacco della destra alla magistratura e proporre una politica autonoma rispetto a quella dell’Anm?"
(Emanuele Macaluso, Il Riformista, 7 agosto 2006)

08/08/2006 - "IL RIFORMISTA", Pag. 1
LA LINEA DEI DS NON SIA QUELLA DEI MAGISTRATI
di: EMANUELE MACALUSO
www.difesa.it/files/rassegnastampa/060808/BND9R.pdf






[1]

Leggere per credere: uno stringato, incontestabile, elenco di fatti e' diventato per Macaluso "un aspro attacco" e un giudizio condizionante la politica dei Ds e dell'Unione. Forse sarebbe piu' giusto dire che certi fatti si commentano e si giudicano da se', ma su questo il cronista puo' poco, a meno che non decida di autocensurarsi:


L'UNITA'
3 agosto 2006
Uliwood party
Tiromancino
Marco Travaglio

«Usciamo da una lunga fase di scontro nella quale si è avuta la percezione prima di una prevaricazione del mondo giudiziario su quello politico, e poi della politica sulla magistratura… C’è un comune intendimento del potere politico e giudiziario di superare la fase di scontro e di ristabilire un bilanciamento dei poteri senza prevaricazioni. Anche nell’opposizione vedo l’intenzione di chiudere una fase».
Uno non fa in tempo a felicitarsi per l’elezione di un’insigne personalità come Nicola Mancino a vicepresidente del Csm, e subito legge queste sue parole a Massimo Franco del “Corriere”. Franco, correttamente, le traduce così: «Dimenticare insieme gli eccessi di Mani Pulite e quelli dell’èra berlusconiana».
E, se questa è la traduzione, ben si comprende perché tutti i partiti hanno votato Mancino.
Dunque c’è stata una guerra: nel 1992-‘93 la magistratura, indagando su Tangentopoli e Mafiopoli, attaccò la politica; dal ’94 al 2006 la politica, prima tutta insieme con la Bicamerale e con le leggi ad personas della legislatura ulivista, poi con quelle ad personam della legislatura berlusconiana, attaccò la magistratura.
Ora la guerra è finita e si firma la pace.
Insomma, se i magistrati promettono di lasciar in pace i politici, i politici promettono di lasciar in pace i magistrati: i due eserciti si ritirano, restituendo territori e prigionieri. Ma siamo sicuri che le cose stiano così?
1) Non è vero che la presunta guerra fra politica e magistratura sia iniziata nel ’92, per la prava volontà di un pugno di toghe rosse milanesi. Già nel 1973 - come racconta il giudice Mario Almerighi in “Petrolio e politica” (appena uscito da Editori riuniti) - tre pretori genovesi scoprono che il Parlamento è a libro paga dell’Unione petrolifera. Decine di politici indagati, a partire da Andreotti.
Poi la famigerata commissione Inquirente e il porto delle nebbie insabbiano tutto, e un giovine virgulto Dc, Peppino Gargani, lancia l’idea a scopo preventivo - di separare le carriere dei magistrati e abolire l’azione penale obbligatoria. Ora è responsabile giustizia di Forza Italia, coautore della legge Castelli.
2) La magistratura non ha mai attaccato «la politica»: singoli magistrati hanno indagato su notizie di reato a carico di singoli politici.
Mancino lo sa bene: la sua Dc ha avuto molti inquisiti e arrestati (parte condannati, parte assolti), ma non tutti.
Mancino, per esempio, non è mai stato inquisito perché non ce n’era motivo.
3) Indagando su politici, i magistrati non hanno «prevaricato» un bel nulla: hanno applicato le leggi fatte dai politici, nonché la Costituzione.
È la Costituzione - eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, azione penale obbligatoria, indipendenza della magistratura «da ogni altro potere» - che vieta ai magistrati di fare passi indietro o firmare tregue, trattati di pace o di non belligeranza con categorie speciali di cittadini. Ed è la Costituzione che vieta al potere politico di aggredire la magistratura, sabotarne il lavoro, ritagliare spazi di impunità per una casta d’intoccabili.
Se guerra è stata, quella combattuta in questi anni è una guerra asimmetrica: se la politica aggredisce la magistratura, lo fa contro la Costituzione; se la magistratura indaga su alcuni politici, lo fa secondo la Costituzione.
È chiarissimo quel che pretende la politica dai magistrati per smettere di attaccarli: basta processi al Potere. Un’intercettazione svela che il governatore di Bankitalia organizza scalate bancarie fuorilegge d’intesa col governo? I magistrati si tappino le orecchie per carità di patria.
Il Sismi aiutò la Cia in un sequestro di persona? I magistrati chiudano un occhio, anzi due, per non imbarazzare il governo italiano e quello americano (altrimenti il governo Berlusconi e il governo Prodi insabbiano tutto col segreto di Stato). Politici, agenti, imprenditori aiutano la mafia? I magistrati si voltino dall’altra. Agenti pestano a sangue manifestanti inermi?
I magistrati lascino correre.
Le aziende di un premier sono infognate fino al collo nella corruzione?
La magistratura finga di non vedere, in nome del «dialogo fra politica e giustizia» e per scansare l’accusa di supplenza (come se indagare sui reati spettasse a qualcun altro).
Se questa è la «tregua» che ci attende, molto meglio la «guerra».
E c’è da sperare, sinceramente, che Mancino non intenda questo quando parla di nuovo «bilanciamento dei poteri» e di «chiusura di una fase»: a bilanciare i poteri han provveduto Montesquieu tre secoli fa e i nostri padri costituenti 60 anni fa.
Non occorre altro.
Certo, ogni tanto capita che qualche politico finisca sott’inchiesta per corruzione o per mafia. Ma, per evitarlo, non occorre alcuna «tregua». Basta depenalizzare la mafia e la corruzione.
O, in alternativa, smettere di mafiare e di rubare. Vale la pena di provarci. Così, per vedere l’effetto che fa.


INES TABUSSO