00 08/08/2006 22:34

"'Mai autorizzato azioni di questo tipo, che sono in contrasto con le leggi
italiane'. Lo ha detto il direttore del Sismi, Nicolò Pollari, durante la sua
audizione al Copaco, il Comitato parlamentare di controllo sui servizi di
sicurezza, rispondendo ad una domanda su Abu Omar, l'imam rapito a Milano nel 2003.
Pollari ha dichiarato di escludere la partecipazione di uomini del Sismi a simili
operazioni e di avere impartito sempre ordini molto chiari affinché non ci
fossero azioni svolte contro le disposizioni di legge'..."
(Repubblica. it, 6 agosto 2006).




"Nuove regole per gli 007 nella lotta contro il terrorismo
Il premier potrà autorizzare azioni al di fuori della legge"

«L’unico limite per i nuovi 007 è quello di non uccidere. A riforma dell’intelligence avvenuta, con nuovi poteri del Copaco, se necessario per la sicurezza nazionale, il presidente del Consiglio deve potere autorizzare agli 007 anche azioni extra legem».
(Claudio Scajola, Forza Italia, presidente del Comitato parlamentare di controllo sui Servizi (Copaco), La Stampa, 8 agosto 2006)




*****************************************************************




LA STAMPA
8 agosto 2006
IL PRESIDENTE DEL COMITATO PARLAMENTARE DI CONTROLLO «BISOGNA VARARE UNA RIFORMA LARGAMENTE CONDIVISA, SI TRATTA DELLA SICUREZZA DELLO STATO»
Scajola: un solo limite
niente licenza di uccidere

«Nuove regole per gli 007 nella lotta contro il terrorismo
Il premier potrà autorizzare azioni al di fuori della legge»
di Guido Ruotolo


ROMA. «Noto delle incongruenze tra quanto affermato nel corso delle audizioni nella precedente legislatura, e quanto leggo sui giornali o viene riferito in queste prime audizioni al Copaco». Claudio Scajola, Forza Italia, è il nuovo presidente del Comitato parlamentare di controllo sui Servizi (Copaco). Il giorno dopo l’audizione (sospesa) del direttore del Sismi, Nicolò Pollari, sulla vicenda del sequestro dell’imam egiziano, Abu Omar, Scajola sottolinea di aver colto delle «incongruenze». Ma Scajola tratteggia anche la nuova intelligence che dovrebbe nascere con la riforma che verrà: «Due Servizi e una struttura unica di coordinamento che abbia voce e titoli per l’analisi, le assunzioni, la professionalità». E si spinge a ipotizzare: «L’unico limite per i nuovi 007 è quello di non uccidere. A riforma dell’intelligence avvenuta, con nuovi poteri del Copaco, se necessario per la sicurezza nazionale, il presidente del Consiglio deve potere autorizzare agli 007 anche azioni extra legem».

Presidente, il nuovo Copaco inizia la sua attività non certo in condizioni ottimali, nel pieno dello scandalo del Sismi, coinvolto ai massimi livelli nel sequestro di Abu Omar...
«E’ sotto gli occhi di tutti il contesto in cui operiamo. Devo dire, però, che la mia presidenza è agevolata dal fatto che il Comitato è composto da persone molto responsabili e animate da un forte spirito istituzionale, e questo è molto positivo. Poi, la materia di cui trattiamo mi è nota, avendoci lavorato nella mia precedente esperienza di ministro dell’Interno. Ci sono le condizioni per affrontare gli impegni nel modo più sereno e positivo».

Converrà, presidente, che proprio della vicenda di Abu Omar il Copaco della passata legislatura non è venuto a capo. Ha registrato le dichiarazioni dei vertici dell’intelligence che di quel sequestro dicevano di non sapere nulla. Salvo poi essere smentiti dalla cronaca giudiziaria di queste settimane....
«Da questa vicenda emergono due cose: c’è necessità che vengano riformati i Servizi, e il Copaco deve essere dotato di strumenti di potere di controllo più incisivi. Dalle prime nostre audizioni emerge la limitatezza dei nostri poteri. E questo lo si coglie anche dalle dichiarazioni che vengono rilasciate e che presentano delle incongruenze rispetto a quelle precedentemente fatte».

Per uscire dall’angolo bisogna riformare i Servizi?
«Bisogna fare in fretta e varare una riforma largamente condivisa, perché si tratta della sicurezza dello Stato. Nel merito, il dibattito si concentra sulle due opzioni possibili: univocità o pluralità della struttura di intelligence. E sulle garanzie funzionali da concedere agli agenti segreti. Sono sempre stato convinto che sia preferibile la pluralità di strutture. Da due Servizi, come abbiamo oggi, mi sento più garantito».

Da «liberale», direbbe l’ex ministro Martino...
«La ritengo più idonea. Mi preoccuperebbe una eccessiva concentrazione di potere in capo ad un unico organismo. Però ritengo che, invece, l’analisi, il reclutamento, la formazione del personale possano e debbano essere gestiti da una unica struttura».

Sta ridisegnando i compiti del Cesis?
«Il coordinamento deve diventare una reale e importante opera d’azione, per evitare sovrapposizioni di competenze e duplicazione logistica tra i due Servizi. In questo modo, riduciamo gli sprechi di risorse. E poi, l’obiettivo deve essere quello di accrescere la complessiva capacità di azione degli organismi di intelligence. Confido che in tempi brevi saremo in grado di procedere con una riforma largamente condivisa».

L’ultima riforma del Servizi risale al 1977, un secolo fa. Oggi il mondo è cambiato, con la caduta del Muro di Berlino e l’11 Settembre...
«Il terrorismo internazionale nel 1977 non si sapeva neanche che cosa fosse. Anche l’Italia ha cambiato la legislazione per combatterlo, ma di converso non si è proceduto a rendere i Servizi più funzionali a questo nuovo contesto. Il Libano è alle porte di casa, il Medio Oriente è in ebollizione...».

Lei ha parlato di garanzie funzionali, e cioè di uno scudo protettivo dal punto di vista anche legale, per gli 007. A riforma varata, questi 007 potrebbero sequestrare Abu Omar senza finire in carcere?
«Se sono servizi segreti, in casi eccezionali e di estremo pericolo per la sicurezza nazionale, devono potere essere messi nelle condizioni di operare anche extra legem. Foss’anche una “extraordinary rendition”. L’autorizzazione deve arrivare da presidente del Consiglio, che accerta l’esigenza e l’opportunità dell’azione proposta e informa tempestivamente il Parlamento attraverso il Copaco. Il limite che, comunque, le garanzie funzionali certamente non possono superare è la licenza di uccidere. Per il resto, in fase di riforma, si dovrà fare un’analisi approfondita che arrivi a prevedere diverse possibilità di intervento».

Presidente, candida il Copaco a sede di elaborazione del testo della nuova riforma dell’intelligence?
«La competenza è propria del Parlamento. Credo che il governo dovrebbe predisporre una proposta».

Come definirebbe il rapporto tra il presidente del Copaco e il governo Prodi?
«Improntato al rispetto dei ruoli e ai doveri istituzionali primari. Ad oggi, devo dire che è un rapporto fortemente istituzionale».





POLITICA
NUOVI ELEMENTI PER GLI INVESTIGATORI A SUPPORTO DELL’ ISTIGAZIONE AL SUICIDIO
«Ecco chi calunniava
mio figlio Adamo»
Il padre di Bove accusa
8/8/2006
di Guido Ruotolo

ROMA. Gli «istigatori» che hanno portato Adamo Bove alla sua fine hanno un nome e un cognome. Che il padre Vincenzo, maresciallo dei carabinieri in pensione, ha fatto ai magistrati napoletani che indagano sulla morte del dirigente Telecom. «Nella prima decade di aprile - ricostruisce Vincenzo Bove - mio figlio Adamo mi raccontò di essere andato dai suoi dirigenti a denunciare chi, all’interno dell’azienda, lo stava calunniando». Vincenzo Bove fa i nomi ai pm di Napoli, naturalmente, dei dirigenti ai quali si era rivolto Adamo, e dei «calunniatori».

Con il passare dei giorni, gli investigatori e gli inquirenti di Napoli (grazie al contributo anche di Roma e Milano) stanno via via ricostruendo il «contesto» nel quale è maturata la morte di Adamo Bove. Pietro Saviotti, pm romano, che ha partecipato ieri al vertice di Milano, non ha difficoltà ad ammettere che è stato il dirigente Telecom morto a Napoli il 21 luglio scorso, ad avere avuto «l’intuizione», ad avere fornito loro la «chiave d’accesso» nel «sistema» Telecom, per ricostruire l’esistenza, le ragioni e le responsabilità delle «falle» al suo interno, nella protezione dei dati sensibili.

Quindi l’esatto opposto rispetto alle indiscrezioni filtrate nei primi giorni che parlavano di Adamo Bove indagato da Roma, anzi da Milano e perché no da Napoli stessa. Schizzi di fango, che fanno paura perché lui, l’ex «sbirro», era diventato un bersaglio di quel gruppo interno o forse anche esterno a Telecom (naturalmente non dell’azienda in quanto tale) che tramava alle sue spalle.

Inspiegabile, per esempio, l’«accanimento» dell’«Internal Auditing» (l’ispettorato interno) contro Adamo Bove, sospettato (il 9 giugno) perché nel suo ufficio, o in postazioni nella sua disponibilità, erano istallati dei terminali dai quali era possibile «operare con modalità anomale e non certificabili» (sistema Radar). Inspiegabile soprattutto perché il primo giugno, al termine di una ispezione in Telecom, il Garante per la protezione dei dati personali aveva denunciato «l’incompletezza e la sostanziale inefficacia delle misure allo stato adottate dalla società per conservare traccia delle operazioni di trattamento dei dati di traffico», esponendo così «le persone interessate al rischio di gravi abusi per ciò che concerne l’illecita acquisizione». Più esplicitamente, il Garante, Francesco Pizzetti, in una intervista al «Messaggero», ha spiegato che le «falle» con «Radar» (il sistema antifrode) hanno poco a che vedere, essendo avvenute nella gestione «commerciale» della rete.

Adamo Bove aveva compreso di essere sotto tiro perché i sospetti dell’«Internal Auditing» finirono sul «Sole 24ore» il giorno dopo. E non solo chiese conto della «talpa» al responsabile dell’ispettorato interno, Armando Focaroli, ma inviò la sua «memoria difensiva», alla fine di giugno, allo stesso Focaroli, al capo del personale, Gustavo Bracco, al condirettore del servizio legale, Aldo Cappuccio. Bove spiegò che il sistema Radar era in uso all’interno dell’azienda ben prima che lui diventasse responsabile della sicurezza Tim, che lui era un semplice «utilizzatore» del sistema (e non il «creatore»), e che «Radar» era accessibile, tramite password, da più soggetti dell’azienda.

E invece Telecom si autodenuncia, presentando un esposto alla procura della Repubblica di Milano, allegando la relazione dell’«Internal Auditing». Di più, una segretaria C.P. consegna agli investigatori risme di tabulati di numeri cellulari (con i famosi post.it) che le sarebbero stati forniti da Bove. Nelle intercettazioni delle indagini Sismi-Abu Omar, e dagli atti della stessa inchiesta, emergerebbe che, effettivamente, tra il 2002 e il 2003 Adamo Bove consegnò dei tabulati di una decina di «mediorientali» ai suoi superiori, che probabilmente finirono nelle mani del dirigente Sismi Marco Mancini, essendo convinto che si trattava di un’attività preventiva contro il terrorismo.

Il 15 giugno scorso, in una intercettazione tra Pio Pompa e il direttore del Sismi, il collaboratore di Nicolò Pollari parla di «richieste fuori protocollo di tabulati telefonici». Pollari chiede: «Fatti da chi?». Risponde Pompa: «Da Bove...». Fonte di Pompa è «Betulla», alias il giornalista Renato Farina. Di certo, negli ultimi giorni di aprile, Adamo Bove fornisce un’altra «intuizione» agli inquirenti, questa volta di Milano: come inoltrare a Telecom dei decreti di intercettazione senza che l’azienda si rendesse conto a chi erano intestati. Un «escamotage amministrativo», certo, per evitare che qualcuno sapesse che si trattava degli uomini Sismi.





POLITICA
A MILANO SI SONO TROVATI I PM CHE INDAGANO ANCHE A ROMA, NAPOLI E TORINO: PER ORA NON SI PARLA DI INTERCETTAZIONI ILLEGALI
Caso Telecom, maxi-vertice tra le Procure
Si cerca di ricostruire la mappa degli accessi abusivi ai dati riservati del traffico telefonico
8/8/2006
di Giovanna Trinchella


MILANO. Inchieste con un denominatore comune, Telecom, ma con aspetti e tagli diversi: dalla vicenda dei tabulati telefonici acquisiti illegalmente al suicidio di Adamo Bove, ex responsabile della Security governance di Telecom, morto nelle settimane scorse a Napoli, fino a una misteriosa incursione nel computer dell’ex amministratore delegato della Rizzoli-Corriere della Sera. I magistrati delle Procure di Roma, Milano, Napoli e Torino ieri per oltre cinque ore si sono incontrati negli uffici del Tribunale milanese per fare il punto sulle indagini aperte. È l’inchiesta romana, coordinata dal pm Piero Saviotti, che sembra per ora registrare i passi più importanti. Gli inquirenti stanno ricostruendo la mappa degli accessi abusivi ai dati riservati del traffico telefonico da parte di dipendenti Telecom. L’obiettivo è di scoprire chi e come, e in questo senso Adamo Bove aveva aiutato i magistrati a capire il meccanismo, aveva accesso al sistema che custodisce dati sensibili. Una volta scoperto chi vi ha avuto accesso, i magistrati cercheranno di capirne il motivo e a chi questi dati sono stati forniti.

Dalla morte di Bove, su cui indaga la Procura di Napoli, gli accertamenti degli inquirenti romani hanno subito una accelerazione i cui sviluppi ancora non sono del tutto chiari. A rappresentare la Procura partenopea ieri c’era il pm Mario Canale, che con il collega Giancarlo Novelli indaga sulla morte del manager ipotizzando il reato di istigazione al suicidio. Bove, che avrebbe aiutato anche gli investigatori della Digos milanese a identificare alcune utenze telefoniche che erano entrate in azione durante le fasi del sequestro dell’ex imam di Milano Abu Omar, sarebbe stato bersaglio di una campagna diffamatoria. Non è un caso che il vertice si sia svolto proprio nell’ufficio del procuratore aggiunto Armando Spataro (assente da Milano per un grave lutto), titolare dell’inchiesta sul sequestro di Abu Omar.

Anche la Procura di Torino con il pm Patrizia Caputo era presente. È stata aperta un’indagine che vede uno o più impiegati della società telefonica coinvolti. Secondo l’ipotesi degli inquirenti avrebbero passato informazioni e notizie sul traffico telefonico di alcuni utenti a persone che non avevano alcun titolo a conoscerle. Non si parla, al momento, comunque di intercettazioni illegali, ma di un’ipotesi di reato di «illecita intromissione in banca dati».

Anche il pm milanese Fabio Napoleone, che ha organizzato il vertice, coordina un’indagine fondamentale: è quella che vede indagati con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali e all’acquisizione di dati sensibili, l’ex responsabile del Cnag (Centro nazionale autorità giudiziaria) Giuliano Tavaroli e il titolare dell’agenzia investigativa Polis d’Istinto Emanuele Cipriani. Nel marzo scorso furono arrestate 18 persone tra rappresentannti delle forze dell’ordine e investigatori privati. In manette finì anche un dipendente Tim. Tra le persone spiate c’erano tra gli altri anche Piero Marrazzo e Alessandra Mussolini.

L’inchiesta ha portato alla scoperta di un archivio abusivo, formato pare da 30mila file, con informazioni sensibili di personaggi del mondo della politica, dello spettacolo e dello sport. Ieri, però, ha avuto impulso anche un’altra inchiesta milanese, coordinata dal pm Francesco Cajani (presente all’incontro) e che riguarda incursioni informatiche ai danni di manager e giornalisti di Rcs. Agenti della Polizia postale di Milano hanno eseguito perquisizioni a Roma e nel Foggiano. Anche il computer dell’ex amministratore delegato Vittorio Colao è stato violato e gli accertamenti hanno portato gli investigatori a capire che l’atto di pirateria sarebbe partito da un ufficio romano di una società della galassia Telecom: ma l’utilizzo della tecnologia «Wi-fi» impedirebbe di capire da quale pc sia partito l’attacco.





08/08/2006 - "CORRIERE DELLA SERA", Pag. 17
"SPIE E TELEFONI, COSI' BOVE AIUTAVA I PM"
di: PAOLO BIONDANI
www.difesa.it/files/rassegnastampa/060808/BNBA3.pdf





08/08/2006 - "CORRIERE DELLA SERA", Pag. 17
"NEMICI DI ADAMO" IN TELECOM, VIA ALLE INDAGINI
di: FIORENZA SARZANINI
www.difesa.it/files/rassegnastampa/060808/BNBA6.pdf





08/08/2006 - "LA REPUBBLICA", Pag. 15
ABU OMAR, S'INDAGA SULLE RETI TELECOM
di: ORIANA LISO
www.difesa.it/files/rassegnastampa/060808/BNC33.pdf





IL TEMPO
8 agosto 2006
«Liberate Pollari dal segreto di Stato»

«IL GOVERNO dia la possibilità al direttore del Sismi Nicolò Pollari di difendersi, liberandolo dal segreto di Stato. Se potesse parlare e difendersi, sono sicuro che Pollari sarebbe portato in processione come Santa Rosalia». Lo ha detto Sergio De Gregorio, presidente della commissione Difesa del Senato, in missione istituzionale in Afghanistan con una delegazione congiunta delle commissioni Difesa di Montecitorio e Palazzo Madama. «Credo che, anche alla luce dell'audizione del generale al Copaco, il comitato di controllo parlamentare sui Servizi - ha aggiunto De Gregorio - si stia formando un quadro di sostegno istituzionale a Pollari. D'altronde lo stesso presidente del Copaco Scajola ha riferito che il generale ha assicurato di non aver autorizzato azioni contro la legge. Purtroppo, per dimostrarlo Pollari dovrebbe infrangere il segreto di Stato, che il Governo ha recentemente confermato su alcuni documenti». De Gregorio è poi passato a ipotizzare il contenuto dei documenti coperti da segreto. Il generale, ha aggiunto, «potrebbe essersi opposto per iscritto ad alcune operazioni e potrebbe anche aver chiesto al Governo passato e a quello attuale di sottoscrivere documenti che invitano a non esporre il Paese a operazioni contro la legge. L'inchiesta della magistratura - ha poi concluso - pone un problema di permeabilità del Sismi: i servizi dei Paesi alleati potrebbero non voler parlare col nostro servizio, sapendo che le conversazioni sono intercettate. Se il governo vuole cacciare Pollari, può anche farlo, ma dandogli dignità e onore».







INES TABUSSO