00 22/05/2007 09:39



L'indulto dà ragione ai pessimisti
Secondo l'Abi, dopo l'emanazione dell'indulto, si è registrato un aumento delle rapine
Il crimine, grazie alla ripresa dell'economia, era in frenata. Ora il trend si è invertito

INFOGRAFICA Le rapine in banca dopo l'indulto:

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LA STAMPA
21/5/2007
Pregiudizi positivi
LUCA RICOLFI

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Di criminalità, immigrazione, sicurezza da qualche mese si parla sempre di più. Soprattutto dopo la manifestazione del 26 marzo a Milano, guidata dal sindaco Letizia Moratti, qualcosa sembra essere cambiato. Ora del problema sembra accorgersi anche la sinistra, da sempre in imbarazzo su questo genere di faccende. Persino il governo, dopo aver appoggiato l'anno scorso l'indulto (che ha rimesso in libertà circa 25 mila detenuti), sembra ora rendersi conto che non si può continuare a nascondere la testa sotto la sabbia. I cittadini sono esasperati, e il ministro dell'Interno risponde con una raffica di «patti per la sicurezza», che proprio in questi giorni cominciano ad essere perfezionati con le maggiori città italiane.

Ma è giustificato l'allarme dell'opinione pubblica? Mi sono posto questa domanda perché troppe volte, negli ultimi dieci anni, l'opinione pubblica si è mossa - per così dire - in controtendenza rispetto ai fatti. Nella campagna elettorale del 1996 i reati erano a un livello molto alto, ma si parlava solo di tasse e Stato sociale. Poi venne il primo governo Prodi, i reati diminuirono sensibilmente per quattro anni (dal 1997 al 2001), ma alla fine della legislatura, nella vittoriosa campagna elettorale del 2001, Berlusconi puntò parecchie carte sulla paura per la criminalità e l'immigrazione (la diminuzione dei reati era la seconda delle 5 promesse del «Contratto con gli italiani»). Una volta conquistato il governo, il centro-destra evitò accuratamente di alimentare campagne allarmistiche, nonostante i reati fossero tornati ad aumentare in modo preoccupante. Alla fine della legislatura, infine, i reati cominciarono di nuovo a diminuire, al punto che nell'estate del 2006 - appena insediato il governo Prodi - il ministro dell'Interno Giuliano Amato potè constatare compiaciuto: «I reati sono diminuiti, ma non chiedetemi perché». Era il giorno di Ferragosto del 2006, data in cui tradizionalmente il ministero dell'Interno presenta gli ultimi dati sull'andamento dei delitti. Che da qualche mese i reati stessero finalmente diminuendo non avrebbe dovuto stupire più di tanto, perché allora si era da poco manifestata una certa ripresa economica, e in Italia l'andamento dei delitti segue (inversamente) il ciclo economico: alcuni importanti tipi di delitti aumentano quando l'economia ristagna, calano quando l'economia cresce. E a metà del 2006, da circa un anno, l'economia italiana era finalmente tornata a crescere.

Ma che cosa è successo dopo, ossia dall'estate scorsa a oggi? Qui è più difficile fare affermazioni perentorie, perché i dati ufficiali sono pochi, molto frammentari e scarsamente aggiornati. Però qualcosa si può dire, grazie a diversi tipi di fonti. I delitti totali, secondo i dati provvisori del ministero dell'Interno, erano in diminuzione nel primo semestre del 2006, sono aumentati nel secondo, in un periodo cioè che include interamente i mesi delle scarcerazioni post-indulto (29 luglio 2006). Furti e rapine, in particolare, erano in diminuzione nel primo semestre del 2006 (furti: -5,1%; rapine: -6,9%), ma tornano a crescere nel secondo semestre (furti: +5,7%; rapine: +15,2%). Ancora più netti i dati dell'Associazione bancaria italiana, che presenta oggi a Roma un accuratissimo rapporto sulle rapine in banca, a cura dell'Ossif (Osservatorio Sicurezza Fisica). Elaborandone i dati si può notare che nei 7 mesi pre-indulto, ossia nel periodo gennaio-dicembre 2006, le rapine in banca erano decisamente calanti (-17%), mentre nei 5 mesi post-indulto, ossia nel periodo agosto-dicembre 2006, la tendenza si inverte e si registra un vertiginoso aumento delle rapine (+30,5%).

Certo, il ministro della Giustizia Mastella prova a rassicurarci facendo notare che gli indultati recidivi sono «solo» il 12%, senza però rendersi conto dell'autogol. Il 12% di rientri significa anche che l'88% è ancora in libertà, e proprio il fatto che nel giro di pochi mesi ne sia già rientrato ben il 12% indica che il ritmo di rientro è molto alto. L'88% di non rientrati sarebbe un dato confortante se fosse registrato a sette anni dell'indulto, non a sette mesi: a questi ritmi di rientro, quell'88% non segnala la presenza di un esercito di reinseriti nella società, ma l'esistenza - accanto a una quota di redenti - di una imponente riserva di criminalità. Altrettanto preoccupanti i dati provenienti da fonti ancora più aggiornate, come l'amministrazione penitenziaria e la Polizia di Stato. Nei primi 8 mesi dopo l'indulto il ritmo di crescita della popolazione carceraria è triplicato (sestuplicato nel caso degli stranieri). Analogamente, le persone denunciate all'autorità giudiziaria in operazioni anti-droga stavano diminuendo prima dell'indulto (-11.5%), mentre nei primi 8 mesi post-indulto sono di nuovo in crescita, sia nella componente italiana (+1,4%) sia - soprattutto - nella componente straniera (+10,4%).

In breve tutti i dati che via via divengono disponibili disegnano un quadro abbastanza coerente, fatto essenzialmente di tre tasselli. Primo: dopo anni di crescita della criminalità (2001-2005), la ripresa dell'economia (2005-6) aveva innescato un trend di riduzione dei delitti. Secondo: l'indulto ha interrotto e invertito quel trend, favorendo una ripresa della criminalità. Terzo: tale ripresa coinvolge più gli stranieri che gli italiani.

Quest'ultimo aspetto è particolarmente triste, perché fino a un anno fa il trend era esattamente quello opposto: la pericolosità relativa degli immigrati, pur restando inaccettabilmente alta (almeno 5 volte quella degli italiani), era comunque in costante diminuzione da un decennio. Ora il rischio è che la crescita dei reati commessi da stranieri finisca per rendere la vita più difficile innanzitutto agli immigrati regolari, che lavorano onestamente, rispettano le leggi, e sono la maggioranza degli immigrati.

Sembra dunque, per una volta, che quotidiani e opinione pubblica ci abbiano preso, e che sia la politica - semmai - che dovrebbe deporre i propri pregiudizi. Già, perché alle volte si dimentica che i pregiudizi non sono solo quelli negativi, o «cattivisti». Esistono anche i pregiudizi positivi, o buonisti. Ad esempio l'idea del ministro della Giustizia, che si rifiuta di riconoscere gli effetti dell'indulto sul tasso di criminalità. O quella del ministro Ferrero, che si ostina ad affermare che gli immigrati non sono più pericolosi degli italiani. Tutti pregiudizi dettati dall'amore, beninteso, ma pur sempre pregiudizi.




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22/5/2007
Carcere e giustizia
CLEMENTE MASTELLA*

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Gentile direttore, ho letto con attenzione le pagine dedicate ieri dal suo giornale alla sicurezza e alle connessioni, anche suggestive, che venivano offerte rispetto alle scelte di politica della Giustizia, nelle quali rientra pure l’indulto, votato da oltre due terzi del Parlamento.

Si tratta di considerazioni importanti, la cui validità, però, in assenza di alcune precisazioni, rischia di esaurirsi nel breve respiro di un ragionamento volto a cogliere solo i sintomi più evidenti di un malessere latente e oramai radicato nel sistema.

Quando ho assunto la carica di ministro della Giustizia, mi è stato, da subito, ben presente quale fosse il grado di disfunzione del sistema della giustizia penale e come il metodo, adottato per anni, nell’affrontare certe questioni si occupasse più di curare il sintomo che non la malattia. Credendo nella logica costruttiva del fare, ho dunque evitato di esternare analisi cui far seguire sconvenienti critiche al sistema e a quanti lo avevano per anni rafforzato. Mi sono invece presentato in Parlamento con un pacchetto organico di proposte che servisse a rendere la giustizia un servizio credibile ed efficace, provando a ridefinire margini, effettività e modi di intervento.

Guardando alla situazione penitenziaria, il dato che più mi sconvolgeva non era tanto rappresentato dalla presenza in carcere di oltre 60.000 detenuti - ben oltre i limiti di legalità e di tollerabilità - quanto dall’impressionante e vorticoso avvicendamento degli stessi nelle strutture penitenziarie: quasi centomila ingressi all’anno, cui seguivano altrettante uscite o poco meno.

Il transito di breve periodo dagli istituti di pena era, dunque, già una realtà che produceva, in un anno, effetti di deflusso tali da essere pari almeno a quattro volte quelli prodotti dal recente indulto.

Dalle cronache più recenti, fra l’altro, apprendiamo che il ragazzo Rom investitore-omicida della signora che voleva evitare il furto dell’auto era stato già invano arrestato e scarcerato ben sei volte, senza necessità di beneficiare dell’indulto.

Questo significa che il carcere è oramai divenuto lo stereotipo di una grande caserma di polizia, con medie di permanenza eccessivamente basse. È il sistema penale che produce una detenzione di transito ed il motivo è evidente: accanto ad una proliferazione di sanzioni penali, anche per fattispecie che non denotano pericolosità sociale, si registra una crescita endemica dell’illegalità, rispetto alla quale l’arresto funziona come deterrente immediato, ma la giustizia - che necessita di tempi per gli accertamenti e per le garanzie individuali - non è nella condizione di dare risposte con altrettanta rapidità. In questo contesto l’indulto è stato pensato come misura congiunturale, che servisse a ridare fiato alle carceri e ad impedire che le quasi centomila persone di transito in un anno solare dovessero affrontare una esperienza di detenzione distante dai livelli di legalità e di umanità tale da avere conseguenze sulle loro condotte successive, con ulteriore danno e beffa per la sicurezza pubblica che si voleva garantire.

Come fu ampiamente detto, non si trattava certo di una scelta risolutiva. Accanto a questa, altre misure sono state portate all'attenzione del Parlamento.

Ho voluto presentare una modifica del processo penale per riportare, nel rispetto delle garanzie, tempi accettabili di svolgimento delle indagini e dei dibattimenti. Ma soprattutto - insediando una commissione di modifica del Codice Penale - ho inteso riequilibrare il rapporto tra reato e carcere. Ho chiesto di riservare la sanzione più grave a quelle fattispecie che destano maggiore allarme sociale, in primo luogo quelle commesse in contesto di criminalità organizzata o connotate da particolare pericolosità individuale, facendo sì che per i reati minori si ricorra a sanzioni diverse dalla detenzione. In un sistema dove tutto è o può essere punito con il carcere, si rischia, infatti, che nessuno paghi per le proprie colpe. Peggio, per il principio stesso dei vasi comunicanti, si rischia che soggetti di poco spessore occupino in carcere il posto che spetterebbe a mafiosi e criminali di rango.

Ho dunque ereditato una giustizia costretta a trattare - a strutture invariate - una proliferazione di fattispecie-reato ed una quantità di fatti-reato in enorme crescita. Tutto ciò che ho fatto e proposto è avvenuto a costo zero, senza i fondi necessari per assicurare un decoroso funzionamento del sistema, mentre ero impegnato a stemperare gli effetti di una riforma dell'ordinamento che penalizzava proprio quegli operatori della giustizia a cui dovrebbe chiedersi uno sforzo straordinario di efficienza e di professionalità per fronteggiare la mole di procedimenti generati dalla superfetazione del diritto penale. In queste condizioni, le mie proposte al Parlamento non possono che consistere in una operazione di verità e di coraggio per realizzare veri cambiamenti. Con la consapevolezza che, senza un intervento riformatore, la macchina rischia di girare a vuoto e che per incidere veramente servono, alla Giustizia, risorse adeguate.

A fronte di affermazioni retoriche sulla sicurezza, nessuno in passato ha mai avuto il coraggio di cambiare il sistema penale. A mio giudizio, non è più rigoroso ed efficiente colui che si presenta alle Camere a proporre nuove ipotesi di reato, ma chi sa selezionare le condotte più gravi per le quali prevedere il carcere; non chi determina tante carcerazioni, ma chi garantisce quelle dei soggetti con più alta connotazione di criminalità; non chi rassicura la popolazione dichiarando un numero alto di detenuti presenti, ma chi ha il coraggio di rivelare che quel numero rappresenta una cifra di transito, e si impegna a dare stabilità alla carcerazione dei soggetti più pericolosi.

Fuori da questa logica di sistema, nella quale ciascuno dovrà fare la sua parte, non può essere valutata la politica di un ministro della Giustizia. Ed è anche difficile e rischioso individuare le giuste relazioni tra giustizia e sicurezza che, va ricordato, sono strettamente interdipendenti per cui se non funziona l'una non funziona nemmeno l'altra. Salvo che si continui, come in passato, a mettere la testa sotto la sabbia.

*Ministro della Giustizia




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LA STAMPA
21/5/2007
Int. a MARCELLO MADDALENA
"L'UNICO RIMEDIO E' IL PROCESSO A DUE VELOCITA'"
ALBERTO GAINO

rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search¤tArtic...





LA STAMPA
19/5/2007 - MENO UN GIORNO
"Patti sulla sicurezza" missione quasi compiuta
NICOLA GRIGOLETTO

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LA STAMPA
9/5/2007
SICUREZZA
Scoppia la lite sull'indulto,
Il Viminale: "Reati in aumento"
Gli interni si smarcano dal Guardasigilli: «Ci sono 1952 rapine e 28300 furti in più»

www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200705articoli/21372gi...




LA STAMPA
8/5/2007
Indulto, dopo 9 mesi il 12%
è tornato in cella
La Regione con il primato del maggior numero di scarcerati grazie all’indulto è la Lombardia

www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200705articoli/21361gi...




LA STAMPA
8/5/2007
Napolitano parla dell'indulto:
"E' stato un fatto necessario"
Il Presidente durante la visita a Rebibbia: «Detenzione per solo per i crimini che allarmano»

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LA STAMPA
26/12/2006
LA POLEMICA
Prodi: l'indulto? Lo rifarei
Il ministro Di Pietro boccia il provvedimento: sbaglia ancora

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INES TABUSSO