L'Isola Incantata delle Figlie della Luna Un luogo protetto dalle Nebbie in cui le Fanciulle studiano insieme...

Il Paredro della Grande Madre

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    stregaviolet )O(
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    Guardiana
    Anziana dell'Isola
    00 11/03/2009 02:18

    Il titolo implica che la discussione sarà più incentrata sulla figura del Paredro antico, come descritto da Momolina Marconi e soprattutto da Uberto Pestalozza, ma per iniziare la discussione volevo più che altro riportare un pezzo tratto da Oscure Madri Splendenti di Luciana Percovich, perchè spiega con parole veramente semplici e "efficienti" il passaggio che c'è stato dall'era matriarcale a quella patriarcale, ovvero dalla figura del Paredro a quella dell'usurpatore del trono, con tutto quello che ne è conseguito.

    "Paredro è "colui che sta accanto", vicino alla edras su cui sta seduta la dea. E' quella figura che a volte è uccello, a volte animale, (...) è addirittura il sole, che sta a fianco della dea madre e la aiuta nella sua opera di creazione.
    (...)Questo slittare dal ruolo di colui che è generato a colui che genera, (...) suona improbabile e fastodioso. (...) Abbiamo già visto come il "re per un anno" a volte veniva indicato come figlio, a volte come amante, in uno slittamento e sovrapposizione continui: è il figlio che diventa l'amante e l'amante si unisce alla madre perchè dia un altro figlio. Slittamenti che hanno impiegato centinaia e centinaia di anni nel loro compiersi e che ad un certo punto si arrestano: prima il paredro le si sedeva accanto per aiutarla, poi è diventato compagno, poi ne ha preso il posto sulla "sedia" che è diventata "trono" (come Dumuzi con Inanna e Horus con Iside), e alla fine diventa padre senza nessuna deviazione successiva, riflettendo un mutamento radicale nella cultura."

    Secondo me questo pezzo in poche parole spiega tutto quello che c'è da sapere...
    Inoltre mi piaceva la definizione di Paredro, che non è, come pensavo ingenuamente, "il pari" della Madre, ma "colui che le siede accanto" e che la "aiuta nella sua opera di creazione".

    Aggiungo una citazione da Momolina Marconi, "Kirke":

    "Il passaggio da paredro a padre (...) non è difficile da spiegare. Sdoppiandosi la grande dea in altrettante personalità divine rispondenti a un determinato inconfondibile nome, e mantenendo esse, tra le molteplici virtù iniziali, quella specialmente di pharmakides, ecco che Elios fu sentito come padre non più solo della produzione vegetale, ma di loro stesse, che con i vegetali avevano tanta familiarità, erano - sempre in virtù di Elios - depositarie del segreto nascosto in ogni corolla, in ogni frutto e in ogni radice."

    Ed ecco quanto...
    Appena ritrovo i pezzi sul Paredro originario della Potnia mediterranea li riporto, magari ne uscirà uno studio carino [SM=g27822]
    Violet



    [Modificato da stregaviolet )O( 11/03/2009 02:21]


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    Elke
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    Guardiana
    Anziana dell'Isola
    00 11/03/2009 15:06
    Ricordo di aver spesso immaginato la danza del Maschile e del Femminile come un rincorrersi continuo e sempre uguale, eppure diverso...
    Il Dio nasce e regna al fianco della Dea (mi fa quasi ridere parlare di Dio e Dea come facevo un tempo...mi sembrano parole così piccole per contenere concetti così grandi e importanti [SM=g27824] ), ed essi hanno uguale importanza e dignità...se un tempo era la Dea ad essere assisa e a dettare le leggi, credo anche che ancora prima a capo di ogni cosa ci fosse un Essere, l'Essere neutro e perfetto che ai tempi era ancora capibile e raggiungibile dagli Uomini e dalle Donne in egual misura.
    La differenza fra il tempo in cui il maschio era Paredro e quello in cui esso diventa Padre, è che nei primo c'era ancora l'Incanto e una sorta di equilibrio fra maschio e femmina, mentre con l'avvento del padre la Donna divenne inferiore o comunque perse molte delle sue antiche prerogative, ed iniziò ad aver bisogno di essere protetta.
    Pensate che peso doveva essere per Donne che erano state libere e indomate dover sottostare ai limiti imposti dalla vigilanza maschile...
    Il Paredro, colui che siede a fianco, era il complementare della Dea...mi viene in mente Cibele che dal suo stesso corpo ermafrodita stacca colui che sarà Attis: egli è figlio, amante e parte di lei, a differenza ad esempio dello Zeus cretese che è fratello della Regina degli Dei o di altri ancora...
    D'altra parte forse il fatto che egli sia un animale e non assuma forma umana come la Dea, rappresenta forse l'inizio della decadenza Maschile: gli Uomini già non erano più in grado di rappresentare pienamente il Paredro che si ritira per ciò nel mondo animale...





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    Danae_88
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    00 09/09/2009 00:13
    Figlio, Amante e Padre
    Questo concetto è ancora uno dei pochi che non mi sono del tutto chiari.
    Forse è davvero un'idea tanto antica e primitiva che può sfuggire facilmente alla presa istintiva di una donna se non accolta nel tempo che fu una volta. Ma credo ci siano altri modi per farlo, altrimenti nessuna di noi ne avrebbe coscienza.
    Mi piacerebbe approfondire l'argomento: Figlio (e/o Paredro), Amante e Padre..
    Non so come spiegarlo; è come se una parte di me sussurrasse: "sì, è sempre stato così e ancora sarà".. l'altra parte invece: "come possono essere tre entità una sola?". Ma la prima è quella che vince.
    Come posso liberare la mente da certi pensieri? Leggendo..leggendo fino a completarmi.
    Per antropologia del mito approfondii la leggenda del Re del Bosco. Mi piacerebbe riportarne alcuni passi, tratti da "Il ramo d'oro" di Frazer. Rimando il tutto a domani, è tardi per scrivere in modo fresco e brillante ^.^




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    Morgana_LaFata
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    Fanciulla dell'Isola
    00 09/09/2009 13:45
    Nelle Vergini Arcaiche è spiegato davvero molto efficacemente il significato del termine Paredro inteso come "colui che siede accanto" (nè inferiore nè superiore ma soprattutto nemmeno alla pari bensì al fianco, cosa che a mio avviso è assai diversa e molto più intima) colui che rigenera, aiuta, assiste, protegge, veglia, egli può essere amante e figlio, mutare da guerriero a padre, ed ogni donna in lui deve specchiarsi per ritrovare la sua "anima splendente", la sua sacralità, la sua Via nei momenti in cui perde il grande potere che la Natura le ha donato rendendola Madre.
    Purtroppo non sò trovare le giuste parole per descrivere con pienezza il significato di questa figura fondamentale ed imprescindibile, ma credo che la sua essenza ultima e la finalità della sua luce sia quella di permettere a noi Donne e Madri di ritrovarci e riscoprirci. E' come ha detto Elke una vera e propria danza, un fluire, una movenza, un cambiamento, un mutare e ritrasformarsi continuo e reiproco, onde distinte eppure partecipi dello stesso mare, poichè il Paredro, e l'Uomo più in generale, non può esistere come essere armonico se privo della capacità di donare e riconoscere sacralità e pienezza alla Donna.
    Credo che una precisazione, che però resta una mia personalissima considerazione, sia necessaria. Credo che sia la Donna a contenere l'Uomo e non viceversa, ed è attraverso questo, attraverso la straordinaria Grotta Sacra (che altro non è che l'Utero) che dimora quieta nel nostro Corpo che noi possiamo contenere la Vita, è questo che rende la Dea tale, e che rende la Donna Antica Dea...La Grande Madre senza la quale l'Uomo, nemmeno il più Antico e Sacro, nemmeno il Dio, può splendere e vivere. La Madre è colei a cui l'Uomo ritorna, colei che gli dona completezza, che gli restituisce pienezza, ma che resta libera ed idomita, selvatica ed indipendente, poichè essa è già completa...Scusate se mi sono spiegata con difficoltà, è un concetto estremamente complesso...
    L' "essere neutro" a cui ti riferisci Elke secondo me è una cosa differente, penso che tu abbia davvero ragione nel dire che Divinità è forse solo una parola, un termine, a cui noi uomini ci rifacciamo per cercare illusoriamente di contenere concetti ed entità infinite...Però l'androgino inteso nella sua divina perfezione come simbolo di equilibrio è a mio avviso una cosa ancora diversa rispetto al Paredro o alla Grande Madre. Cosa intendi fata dolcissima nel dire "la Dea dettava la legge e dominava"?
    Nella mia visione la Natura è Madre, e ogni particella dell'Universo danza seguendo le leggi perfette di Essa. Credo solo sia Naturale, poichè proprio dalla Natura deriva, donare alla Portatrice di vita il volto femminile piuttosto che quello maschile...E questo non significa disconoscere il Dio, relegare il Paredro, porlo nell'inferiorità. Non possiamo ragionare in termini di superiorità o di dominio, ma dobbiamo ricondurre il nostro discorso alle differenze e al loro sinificato, dobbiamo immaginare le diversità che si incontrano e si compenetrano, poichè se la Dea è sì completa essa resta però come un fiore che non può sbocciare se non sà incontrare l'Amore di cui il Paredro è custode, dobbiamo riflettere su cosa significa davvero "sedere al fianco" di qualcuno...è riduttivo parlare di "ruoli", ma credo che in questo caso, lasciando da parte la società, la storia, le religioni codificate, il termine "ruolo" possa aiutarci per capire. Quando immagino la Dea, il Femminino Saco, provo amore infinito, forza, coraggio, mi riscopro guerriera, e ciò perchè essa è Donna, e se il suo volto può prendere varie e molteplici forme, e ritrovarsi in un fiore o nel volo di un gabbiano, nella schiuma del mare o nel corpo di un uomo, essa resta Madre, resta Donna, sempre. Nei tempi arcaici era questo a rendere le Sacerdotesse signore delle società matriarcali, rigogliose, pacifiche. I Misteri erano per questo appannaggio femminile e ciò non significa che agli uomini fosse preclusa la sacralità o il "sacerdozio" o che non potessero raggiungere in egual modo la Divinità...erano semplicemente portatori di ruoli e compiti diversi.
    Se non riconoscessimo questo non ci spiegheremmo perchè siano state le Donne le Custodi che permisero alla Madre di non morire, che la protessero e ne tramandarono il ricordo, e non capiremmo da cosa deriva la figura della strega che opera in segreto se non comprendessimo la sottile magia che lega la Donna alla Terra...Magia che l'uomo, pur conoscendola anch'esso ed amandola, seppur in modo differente proprio perchè uomo, ha più facilmente perso e dimenticato, dopo secoli di violenza, usurpazione, dominio che hanno scatenato in lui la forza devastatrice che la Madre sapeva in lui trasformare in potere...



    "Negli occhi bruni di una figlia della Terra riposa la Pace, che essa possa essere tua eterna compagna"

    Sciamana Sarah
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    Danae_88
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    Viandante
    00 09/09/2009 14:33
    "Il ramo d'oro" di J. G. Frazer, nonchè quadro di Turner

    La scena del quadro è una visione di sogno di quel piccolo lago di Nemi, che gli antichi chiamavano "lo specchio di Diana".
    Questo paesaggio era la scena di una strana e ricorrente tragedia. Sulla sponda settentrionale del lago, proprio sotto gli scoscesi dirupi su cui si annida il moderno villaggio di Nemi, si ergeva il sacro bosco e il santuario di Diana Nemorensis, la Diana del bosco.
    In questo bosco sacro cresceva un albero intorno a cui si poteva vedere aggirarsi una truce figura (perchè "truce"?). Nella destra teneva una spada sguainata e si guardava continuamente d'attorno come se temesse a ogni itante di essere assalito da qualche nemico. Quest'uomo era un sacerdote e (in questo passo lo definisce anche) omicida); e quegli da cui si guardava doveva prima o poi trucidarlo e ottenere il sacerdozio in sua vece. Era questa la regola del santuario. Un candidato al sacerdozio poteva prenderne l'ufficio uccidendo il sacerdote, e avendolo ucciso, restava in carica finchè non fosse stato ucciso a sua volta da uno più forte e astuto di lui. L'ufficio gli dava il titolo di re (ciò ricorda bene i rituali legati al Re Cervo). [...] Anno per anno, egli doveva proseguire la sua solitaria vigilanza, e se cedeva a un tormentato sogno lo faceva a rischio della sua vita.
    Ai miti e pii pellegrini di quel santuario sembrava che il solo suo apsetto oscurasse la bellezza di quel paesaggio [...] Meglio possiamo raffigurarci la scena come potè apparire a qualche viandante sorpreso dalle tenebre in una di quelle selvagge notti d'autunno, quando le foglie morte cadono dense e sembra che i venti cantino il lamento funebre sull'anno che muore [...]
    La strana regola di questo sacerdozio non ha alcun riscontro in tutta l'antichità classica (così afferma Frazer, ma ben conosciamo fonti dalla storia celtica che narrano fatti similari, pur non essendo "classici"; infatti di seguito aggiunge) e non si può spiegare per mezzo di essa. Per trovare una spiegazione dovremo spingerci molto lontano.
    Nessuno potrà negare che questo costume ha tutto il sapore d'un'età barbara (come riconoscere i veri "barbari"? mi limito a riportare le sue parole), e che, sopravvivendo nei tempi imperiali, sia in singolare contrasto con la raffinata (se così si può chiamare) società del tempo [...] Ma è proprio l'asprezza di questo costume che ci fa sperare di spiegarlo.
    Le ricerche sulla storia primitiva dell'uomo hanno mostrato l'essenziale similarità con cui la mente umana ha elaborato la sua prima e rude (ma è veramente tale?) filosofia di vita.
    [...], se potremo scoprire e provare i motivi che hanno operato ampiamente e forse universalmente nella società umana, producendo in varie circostanze una varietà di istituzioni (io le denominerei consuetudini) diverse, ma consimili [...], allora potremo arguire che in età più remota gli stessi motivi diedero origine al sacerdozio di Nemi.

    Alcune leggende si prestano a motivare tali argomenti, come la storia di Diana e Virbio (probabilmente parallelo Paredro).
    Mi piacerebbe trascriverla qui sempre tramite le fonti di Frazer nel prossimo post, se questo inizio è stato gradito [SM=g27822]




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    Isara_Enid
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    00 11/09/2009 16:39
    Sto riflettendo da giorni sulla figura del Dio come compagno “consorte sacro”, forse perché in questi giorni lo sento vivo e bruciante dentro di me.
    Avvolta dalla foga nell’apprende il Femmineo, ho scacciato più volte la sensazione del Paredro come semplice retaggio culturale di una potenza patriarcale.
    Nulla di più lontano.

    Non ho molto da aggiungere all’intervento di Morgana e Violet e Elke (anche se la decadenza verso l'animale forse può simboleggiare il lato selvatico più che la decandenza, non saprei), tuttavia vorrei porvi una riflessione.

    La Madre è casa, sostanza quindi Sub-Stanzia ovvero incisa nel reale, è la Casa della vita, utero.
    Per evolversi spiritualmente l’uomo ha bisogno di prendere distanza dall’io per poi rientrarvi, quindi è costretto a migrare in un esodo. Inanna, Ulisse, Arianna nel labirinto sono tutti archetipi in movimento. La Madre è Stanza, ferma, immobile ancorata a se stessa, immanente e necessaria (basti pensare al gigante figlio di Gaia che trae la forza vitale solo quando è ancorato a Terra, mentre se dispiegato in volo o immerso in dimensioni astratte, muore). Mi è sorta la domanda, chi spinge l’uomo (inteso come creatura) a migrare dall’Io per svelare il Sé profondo?
    Il Dio è vento, colui che muove morendo la ruota con la sua forza indomabile.
    Serve uno stimolo profondo un vento freddo, distante, completamente diverso dalla Madre per spingerti a lasciare la casa della madre terrena per raggiungere la Natura del Sé quindi la Madre ultima e prima.
    Credo sia questo il concetto di stare al fianco “vivere per le donne e renderle sacre”. Ogni donna che ricerca il sé deve affidarsi al vento, come le donne che corsero verso Dioniso folli d’amore perché consapevoli di dover viaggiare con Lui, e in piena fiducia si sono lasciate cullare dalla presenza selvatica invasiva e protettiva. La migrazione delle Baccanti seguendo i Sentieri non è altro che la riproduzione del viaggio che dobbiamo fare per ritornare a Noi stessi.
    Tutte le volte che giunge il vento, è irruzione di vita nelle nostre stanze e siamo costrette a migrare, per ritornare in grembo. Condividiamo lo stesso destino del Dio, una parte di noi stesse muore quando giriamo la ruota, ritorna nelle Stanze, e rinasce.

    (spero di non essere andata fuori tema... o di non aver detto cose ovvie, se è necessario cambiate e cancellate [SM=g27822] )
    [Modificato da Isara_Enid 11/09/2009 17:00]



    E non vi era danza
    né sacra festa...
    da cui noi fossimo assenti
    né bosco sacro...
    Piena splendeva la luna
    e le fanciulle si posero
    intorno all'altare.

    Saffo




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    stregaviolet )O(
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    Anziana dell'Isola
    00 14/09/2009 13:28

    Hai detto cose bellissime invece... e significative... per questo devo rileggere l'intervento, perchè è pregno di significati e non sono sicura di averli colti tutti.
    Ma di getto provo a rispondere alla tua domanda, sperando di aver ben inteso ciò che intendi tu [SM=g27822]
    Ciò che spinge a migrare, a viaggiare verso il Sè credo sia il Sè medesimo. Perchè si segue una sorta di richiamo profondo e se ne cerca l'origine, muovendosi nella giusta direzione per trovarlo.
    Il vento, lo sconvolgimento divino, Dioniso, è una forza, un'energia divina che si nasconde anche in noi stesse, se viene risvegliata, e certamente, in quanto energia divina stessa, appartiene al Sè, proviene dal Sè e spinge poi il Sè ad innalzarsi e a ricongiungersi con l'Energia divina che sta non più solo dentro ma anche tutto intorno. Come un soffio di vento interiore che si ricongiunge al grande Vento Divino, se riesco a farmi intendere.
    Un altro esempio forse un pochino diverso è quello presente nella tradizione mitologica "avaloniana". Si segue un richiamo che è simbolizzato dal tintinnare dei campanellini del magico Ramo d'Argento... ma questo tintinnare proviene dall'interno e spinge a cercare la fonte che ha prodotto il rametto che ci è stato donato e che brilla di luce luminosissima, in Avalon.
    Sono tutti simboli diversi che indicano uno stesso Percorso, ma in ogni caso il Richiamo non può che venire da dentro.
    Spesso la brezza che fa vibrare questo richiamo, questo tintinnio, è suscitata dalla Bellezza Naturale, dall'Amore per la Natura, dall'Amore per la Grande Madre. E come sempre, ciò che suscita il Richiamo rappresenta, al contempo, ciò che si deve raggiungere, la meta ultima del Percorso.
    Così, ascoltando e cercando il Sè, si torna al Sè.
    Ascoltando e cercando la Madre, si torna a Lei, dentro di noi ed intorno a noi.

    Forse sono andata fuori tema, perchè in questo discorso non c'entra molto il Paredro della Dea. Ma pazienza... [SM=g27824]

    Isara se non ho ben inteso ciò che intendevi mi spiace, ma possiamo continuare a parlarne tranquillamente, è un argomento, come gli altri, bellissimo. [SM=g27822]



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    Isara_Enid
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    00 15/09/2009 22:00
    Grazie Violetta :*****

    Non preoccuparti, anzi mi scuso se sono risultata difficoltosa nella lettura [SM=g27821], hai centrato il punto.
    Riflettevo, se gli antichi conoscevano già l'Armonia nell'età dell'oro, coem si accenna più volte fra i libri della Terra di Mezzo o anche in Ovidio, allora perchè venerare il cambiamento, il Dionisiaco? Vuol dire che forse anche gli antichi non vivevano in uno stato di armonia sociale, ma ideale, personale che si contrapponeva alla società (matriarcale e poi patriarcale). Come avviene tutt'oggi, uomini che cercano l'armonia interiore e naturale, contro la società senza spirito.

    Faccio molta fatica a ricondurre l'Armonia anche all'era antica, o pensarla come un regno armonico, dove gli uomini erano un perfetto tutt'uno con la Natura.

    Se così fosse non esisterebbe il tempo, il divenire, il cambiamento.
    Da qui non ci sarebbe stata necessità del Paredro, del Dio, o del Sacrificio del Cervo.
    E noi non dovremmo fuggire, proseguire nell'esodo verso una dimensione altra da Noi.

    Quello che intendo è che forse l'età dell'Oro è una idealizzazione di quello che potrebbe essere, ma in realtà non è.


    Può essere? O interpreto male io sia il Paredro e l'età arcaica?



    [Modificato da Isara_Enid 16/09/2009 00:41]



    E non vi era danza
    né sacra festa...
    da cui noi fossimo assenti
    né bosco sacro...
    Piena splendeva la luna
    e le fanciulle si posero
    intorno all'altare.

    Saffo




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    stregaviolet )O(
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    Guardiana
    Anziana dell'Isola
    00 15/09/2009 23:48

    Aspetta... Dioniso è lo sconvolgimento del comune, del quotidiano, che porta alla follia divina. Ed è una divinità antica, ma non così antica [SM=g27819]
    L'Età dell'Oro è molto precedente e nell'Età dell'Oro forse la figura di Dioniso come intesa oggi non era ancora nata. Nell'Età dell'Oro infatti, come dici anche tu, non credo ci fosse bisogno di uno sconvolgimento del quotidiano, perchè non c'era nulla, se vogliamo, di quotidiano come inteso oggi, ovvero come mesta e banale normalità.
    Allora, si dice, si viveva ogni cosa in modo estremamente sacro e il contatto con la parte divina era perennemente attivo. Quella parte era preponderante, non esisteva una mentalità egoistica, non esisteva l'ego tanto sviluppato come oggi.
    Per dirla simbolicamente, la Regina e il Re Sacri, lo Spirito, erano sul loro trono, e il Servo devoto, la mente e l'ego, li servivanosenza volerli prevaricare.
    Dioniso e lo sconvolgimento appaiono quando c'è bisogno di loro, ovvero quando questa condizione primaria, lontanissima, purtroppo, non esiste già più.
    Poi non so, io il Paredro non riesco tanto a vederlo in Dioniso perchè Lui rappresenta così tante cose che faccio fatica a vederlo come Paredro, ma è una difficoltà solo mia.
    Riesco meglio a vedere come Paredri le antichissime figure maschili che effettivamente "sedevano accanto" alla Potnia mediterranea.
    Oppure, in tempo estremamente lontani e molto più vicini a noi, riesco a vedere bene come Paredri quei particolari Cavalieri che ricoprivano il ruolo di Protettori delle Antiche Tradizioni, come Urban del Guado dei Corvi, nel Didot Perceval, o il Cavaliere che protegge la fontana nel racconto dei Mabinogion "La Dama della Fontana" (con il corrispettivo di Chrétien de Troyes "Ivano"), o in Maboagrain, il Cavaliere vermiglio del verziere periglioso di Gereint ap Erbin (con il corrispettivo francese "Erec e Enide"), o in altri Cavalieri che "siedono accanto" alla Dama Divina, e proteggono le Sue Antiche Tradizioni.
    Loro riprendono davvero bene il ruolo del Paredro, a differenza di moltissimi Dei che poco o nulla lo incarnano, contagiati dal patriarcato che li vuole sovrastanti le Dee, indipendenti (ovvero distaccati ormai dal Grembo della Madre) e, spesso, sfacciatamente maschilisti.
    Ovviamente non mi riferisco a Dioniso, che è un caso a parte...
    Sì, forse Dioniso è proprio una figura senza eguali, proprio come il Trickster, l'Ingannatore, che svolge una funzione tutta sua e davvero sconvolgente. Veramente utile al giorno d'oggi ed anche nei tempi della sua nascita, ma inutile nell'Era dell'Oro.
    Sono idee mie, non sono sicura di avere ragione nel dire questo, però mi sembra di intuire che sia così, perdonatemi se ho detto cavolate [SM=g27821] [SM=g27822]



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    Haria

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    AlessandroSkryer
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    Sognatore dell'Isola
    00 04/06/2012 04:12


    Come promesso a Elke un po’ di tempo fa (forse un po’ troppo tempo fa!), ecco un riassunto della concezione del paredro sostenuta da Uberto Pestalozza in «Religione mediterranea»…

    Inizialmente la Dèa è androgina, il principio maschile è una sorta di appendice del principio femminile, dunque il paredro (principio maschile) è subordinato alla Dèa (principio femminile): siede accanto a lei, ma un po’ più in basso.

    Gli attributi fondamentali e originari della Dèa sono la libertà, l’autonomia, l’autogenerazione, l’androginia, come appare chiaro se si intende la Natura quale organismo vivo: è libera, è autonoma, genera da sé, contiene sia il maschile sia il femminile, che sono soltanto alcune delle innumerevoli forme da essa assunte, eppure è prevalentemente, se non universalmente, immaginata come femminile.

    In quanto dotata di potenza autogeneratrice, la Dèa genera da se stessa, senza bisogno della «folgorazione maschile». All’inizio c’è il rapporto fra Madre e Figlia (Demeter e Kore) (anche nella più anticva mitologia dell’India all’inizio c’è una coppia femminile), a cui il paredrato è successivo e subordinato. Il maschio, il figlio, generato dalla Dèa senza contributo maschile, diviene in seguito suo paredro.

    In virtù dei suoi attributi, la Dèa per generare non ha bisogno del maschio da lei stessa generato (quindi suo figlio): ne ha bisogno soltanto per la propria voluttà. In questo senso lei è preminente, e lui, il paredro, è subordinato a lei. La Dèa può provocare nel paredro la metamorfosi nell’animale in cui lei stessa può trasformarsi, in modo da consentire l’accoppiamento.

    Il culto fallico non è incompatibile con la religione della Terra-Madre, ma il paredro è subordinato perché svolge soltanto una funzione di soddisfazione della voluttà, mentre l’autonomia generatrice appartiene alla Dèa e il culto dell’intimità femminile prevale perché si tratta dell’«organo della dea più di ogni altro dotato di virtù allontanatrici di male e diffusivo di bene».

    La Dèa è Parthenos, vale a dire vergine nel senso di «non sposata», «dea senza marito», cioè Dèa del tutto autonoma e libera, anche nel donare il proprio amore ai paredri che sceglie, niente affatto soggetta al principio maschile (i miti sono stati trasformati dal patriarcato, deformando, fra gli altri, proprio questi attributi della Dèa).

    La sovranità, o preminenza, della Dèa nei confronti del proprio paredro è simboleggiata dalle raffigurazioni della «mixis» in cui la Dèa siede sopra il paredro, le più antiche delle quali risalgono al paleolitico superiore.

    Piccola Potnia è l’aappellativo con cui spesso Pestalozza definisce la Donna. Nel matriarcato, l’analogia fra Donna, Natura e Dèa appare evidente anche in rapporto alla produzione materiale, ai mezzi di sopravvivenza nelle società arcaiche, dalla raccolta all’agricoltura, attraverso il simbolismo della bipenne (che rappresenta molti attributi della Donna e della Dèa), poi trasformata in aratro.






    E sempre il vento e l’ombra misuravano il tempo,
    il sole portava riflessi come grate di gioia
    alloggiata là fuori, incurante degli agguati—
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    Elke
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    00 09/11/2012 10:56
    Ecco, ringrazio Alessandro per questo riassunto, perché mi permette di farvi una domanda a cui penso da un po'. Ma non vi sembra che in Pestalozza il lato maschile sia visto in maniera un po' troppo inferiore? Nel senso, se qualcuno dicesse che il lato femminile "serve solo per la voluttà" di un Dio Maschile la cosa non mi sembrerebbe per nulla giusta. Perché invece dovrebbe essere il contrario?
    Forse essendo abituate a millenni di prevaricazione di maschile sul femminile il contrario ci sembra quasi auspicabile, ma trovo che non può esserci equilibrio se una delle due parti prevalica l'altra.
    Va bene che forse questi miti indicano un tempo in cui gli uomini avevano già cominciato a dimenticare la Dea e il lato Divino del femminile, e quindi essendo rimaste le donne come uniche depositarie della Tradizione, hanno dato al Divino attributi femminili (anche perché appunto, così come la Natura, ha il grande potere di generare), ma mi sembra controproducente mettere tanto accento sull'"inferiorità" del paredro...Paredro è colui che siede accanto, paritariamente, non sotto, non sopra.
    Che ne pensate?




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    Flavius Iulianus
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    00 15/09/2013 09:44
    Re:
    Elke, 09/11/2012 10:56:

    Ecco, ringrazio Alessandro per questo riassunto, perché mi permette di farvi una domanda a cui penso da un po'. Ma non vi sembra che in Pestalozza il lato maschile sia visto in maniera un po' troppo inferiore? Nel senso, se qualcuno dicesse che il lato femminile "serve solo per la voluttà" di un Dio Maschile la cosa non mi sembrerebbe per nulla giusta. Perché invece dovrebbe essere il contrario?
    Forse essendo abituate a millenni di prevaricazione di maschile sul femminile il contrario ci sembra quasi auspicabile, ma trovo che non può esserci equilibrio se una delle due parti prevalica l'altra.
    Va bene che forse questi miti indicano un tempo in cui gli uomini avevano già cominciato a dimenticare la Dea e il lato Divino del femminile, e quindi essendo rimaste le donne come uniche depositarie della Tradizione, hanno dato al Divino attributi femminili (anche perché appunto, così come la Natura, ha il grande potere di generare), ma mi sembra controproducente mettere tanto accento sull'"inferiorità" del paredro...Paredro è colui che siede accanto, paritariamente, non sotto, non sopra.
    Che ne pensate?



    Penso che tu abbia fatto delle osservazioni giuste, anche se, e lo dico da maschio, l'allontanamento dalla Dea Primordiale è senza dubbio "colpa" dell'elemento maschile, elemento maschile che ha contribuito, forse suo malgrado, a rompere l'equilibrio armonico della Natura e della Psiche. Non per niente le religioni monoteistiche sono state e continuano ad essere religioni misogene, religioni in cui l'elemento femminile non è stato solo posto in secondo piano(eufemismo) ma addirittura diabolicizzato. Il Femminino in queste religioni è stato relegato a pura e semplice appendice del mondo maschile, non per nulla le persone sacre femminili di queste religioni, cito Maria di Nazareth e Fatima (figlia di Maometto), sono state idealizzate come archetipo di come la donna dovrebbe essere in una società patriarcale. Donna sottomessa al dio maschio e donna lontanissima dalla Dea originaria. La rinascita quindi del culto della Dea, che è femminile ma non solo femminile, ha avuto come naturale conseguenza psichica un netto prevalere dell'elemento femminile su quello maschile, ma si è trattato e si tratta di una ovvia "rivalsa", capibile ed anche per certi versi condivisibile.
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    AlessandroSkryer
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    00 09/10/2013 01:58

    Mi sono limitato a riassumere le conclusioni di Pestalozza. Bisognerebbe esaminare le fonti mitiche a cui attinge per verificare se questa sia effettivamente la visione mitica arcaica, o se ne sia semplicemente una interpretazione o una ricostruzione entro una sua prospettiva personale, e quindi se sia più un riflesso della sua visione personale che un riflesso dell’antica visione mediterranea (diversa dalla celtica, ad esempio). Poi bisognerebbe anche verificare come e quanto l’antica visione mediterranea riflettesse la visione matriarcale arcaica, come hai suggerito, Elke. E se le conclusioni di Pestalozza riflettessero precisamente i miti arcaici sarebbe inevitabile accettarle come significato dei miti stessi.

    Aggiungo soltanto un elemento incontrato leggendo «Figlie del sole» (Torino, Bollati Boringhieri, 1991), del grande studioso del mito, Karoly Kerenyi. Studiando i rapporti del Sole con la Notte, e quindi del principio maschile con il principio femminile, e in questo ambito l’origine e il significato della sovranità del re e del padre presso i Greci, Kerenyi osserva (p. 55) che in lingua greca il re è «basileus», che «basileia» è regina, e che «basile», forma ancora più antica di «basileia», indica la Regina degli Inferi. Aggiunge che «linguisticamente considerata la parola “re” è secondaria. Non così ‘basile’, la denominazione di regina, linguisticamente primaria. Le testimonianze circa le condizioni matriarcali nelle antiche civiltà mediterranee rendono anche oggettivamente accettabile ciò che è lecito ammettere in base alla formazione delle parole: che la regina rappresenta il fondamento della regalità, o almeno lo rappresentava in quella civiltà preellenica, alla cui lingua non-indoeuropea appartiene la radice della parola». Lo studio di Kerenyi prosegue con la ricerca di chi sia «regina» fra le Dèe.







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